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 Il Fiume Spataro d'una volta: Miniera, Mulini, ecc.

  >>====> Conidoni

La Pitta Filata di Conidoni

Nino Grasso

Chiesa di Conidoni

L'Asilo del 1952

C’era una volta ... Lungo il fiume...   Ricerca e Poesie di Giacomo Barbieri

Maestro, nella scuola Elementare di Sciconi-Conidoni - Anno scolastico 1997/1998.

Materiale ricevuto da Tommaso Prestia

I fiumi o più esattamente i corsi d’acqua, sono stati luoghi presso i quali si sono sviluppate sin dai tempi più remoti della storia, attività che hanno consentito la sopravvivenza prima e il conseguimento di ricchezza poi. L‘area dello Spataro, un corso d’acqua di piccole dimensioni, poco più di una fiumara, ha costituito un momento importante dell’economia e della cultura del recente passato di Conidoni. Nel ricostruire la memoria di Conidoni, riferita agli anni quaranta, è presente, è vivo il pensiero che ognuno possa raccontare alle generazioni future: “C’era una volta...“ . Per questo motivo in questo ricerca sono presenti documenti, foto, disegni di oggetti e di situazioni reali...

La Jumara

 di Giacomo Barbieri

La jumara fu sempri na ricchezza:

era na fora chi movia 'nte tempi

di machini e mulini li strumenti.

Dissitava animali e cristiani,

arricciava i genti comu u mari,

lavava ogni cosa chi servia.

Criava l’ortu a chiji senza terra

e l’acquaru , (chi grandi 'ngegneria ! ),

abbi virava tutta Chiana i Vada

pe fari milli balli di cuttuni.

Era la vita di tutti li genti !

E mo ? Poveri nui !  No servi a nenti.

La Via dei Mulini

 di Giacomo Barbieri

Lungo lo Spataro c’erano tanti mulini e frantoi. I mulini per l’esattezza erano dieci e servivano una popolazione di circa 3000 abitanti. Oggi sono quasi tutti distrutti. Di alcuni non esistono neppure i ruderi. Risalendo il fiume dal mare, il primo mulino è sotto S. Nicola ed appartiene ai La Monica (Don Ciccio). Funzionante fino agli anni trenta, scomparve sotto una frana. Di seguito sorgeva il maestoso frantoio dei Pietropaolo di Sciconi, oggi completamente diroccato. Più in su il mulino di Nicolino Antonio (funzionante fino agli anni sessanta); poi quello di Nicolino Filippo (detto Casciurro), funzionante pure fino agli anni sessanta e demolito successivamente per far posto ad un’opera di irrigazione mai ultimata e per la quale sono stati spesi parecchi miliardi. Sempre risalendo il corso del fiume s’incontrano quello dei Mobrici e quello dei Stillitano, dei Nicolino, dei Condoleo, dei La Badessa e di Domenico Monteleone, il quale possiede pure un frantoio non funzionante ma ben conservato nei pressi di Papaglionti. Nelle campagne di Briatico c’erano quattro mulini ed un frantoio.

L’attività delle lavandare

Tra le tante attività che si svolgevano lungo il fiume ve n’era una legata all’acqua quasi in modo sacro: l’attività delle lavandare. Era un rito che si compiva nell’arco dell’intera  giornata, spesso da un gruppetto di persone diverse o da diversi componenti della stessa famiglia. Durante la lavanda  dei panni venivano raccontanti i fattarelli del paese, gli avvenimenti della vita quotidiana. Le lavandare si scambiavano confidenze raccontandosi  gioie e dolori vissute ogni giorno sulla propria pelle. I testimoni dei vari racconti e segreti erano l’acqua e la pietra.

Lavandari alla jumara

 di Giacomo Barbieri

No nc’era a lavatrici nta li casi

e mancu u lavatoiu du paisi,

si jia a jumara pel avari panni

e pe curari u lunu du tiraru.

Era nu jornu di fatiga amara

lu jornu da vucata alla jumara,

eppuru nc’era tanta cuntentizza:

si cantava portandu i rrobbi ntesta.

Cu jia a Ligia e cui alla minera,

portandu lissiaru e tripodu,

cinnari e coddarejiu

e cofini di panni di lavari.

Cantavanu li fimmani nta l’acqua

cu li suttani azati a li dinocchia,

nsapunandu e stricandu centu voti

cuverti, lenzola, tuvajjie, cammisi;

sbattendu e risciacquando cu lu notu

tutti li panni di l’interu misi.

Ntantu s’attizzava la coddara,

si gujjia la cinnari cu l’acqua,

si preparava nsomma la lissia,

nto lissiaru li panni mentenu

aspettando lu tempu mu stizzijia.

All’urtimu stendenu alla sipala

i panni janchi e profumati assai:

parenu grandi fjiuri ammenzu o virdi,

banderi allegri sbattuti di lu ventu.

E quando a sira u suli si curcava,

stanchi e cuntenti si tornava a casa.

Orti angratici

L’azione erosiva dell’acqua della fiumara, nel tempo e durante le piene, ha determinato la formazione di spazi, a livello del letto fluviale, molto fertili e facili da irrigare. Questo fenomeno permetteva un utilizzo occasionale, prevalentemente estivo, di questi spazi demaniali, destinandoli a colture ortive. I terreni prendevano il nome di “angre”, ovvero gli orti dei senza terra. Ancora oggi in alcune zone del fiume esistono questi orti, diventati proprietà privata.

Il Frantoio Pietropaolo

L’acqua del fiume azionava anche alcuni frantoi, il che significa che la portata della fiumara era davvero notevole. Il frantoio aveva lo stesso funzionamento dei mulini: l’acqua veniva convogliata nella “saitta”, una specie di torretta alta parecchi metri e precipitando sulle pale della grande ruota, la faceva girare, mettendo in movimento gli ingranaggi di tutto il frantoio. Il frantoio più conosciuto e grandioso era quello dei Pietropaolo di Sciconi. Costruito nel 1818, funzionò fino al 1982. Oggi è del tutto abbandonato ma all’interno sono ancora presenti tutti i macchinari dell’epoca che si presentano in uno stato di conservazione più che buono.

La Miniera: Un po’ di Storia

Lungo la valle dello Spataro, precisamente sotto Conidoni, vi era un miniera di lignite, riportata in molti documenti come “Miniera di Briatico”. Secondo alcune indagini, interviste ad ex minatori e documenti vari, si sa per certo che la miniera fu coltivata a più riprese e con lunghe interruzioni, ad iniziare dalla metà dell’800.  Fu aperta dai Borboni, e il carbone estratto servì probabilmente ad alimentare le locomotive che percorsero la tratta della prima ferrovia italiana : la Napoli Portici. Vi lavoravano indistintamente uomini e donne. Il carbone estratto veniva trasportato al molo di Pizzo utilizzando carri trainati da buoi, e successivamente veniva portato a Castellammare di Stabia in Campania, un comune molto popoloso in provincia di Napoli. I dirigenti e le maestranze che guidavano  la miniera erano napoletani. In seguito l’estrazione di carbon fossile cessò, in quanto la lignite non era più considerata un buon combustibile e la miniera fu abbandonata. Allo scoppio della prima guerra mondiale, la coltivazione della miniera riprese, ad opera del Compartimento Minerario di Napoli. Fu nominato Direttore l’Ingegnere Tedesco che veniva soprannominato " 'u jejjiu " per le difficoltà che aveva ad esprimersi in italiano.

Durante la prima guerra mondiale veniva praticata la coltivazione a gallerie: il carbone estratto veniva convogliato in Località Perara e da qui, con una teleferica, raggiungeva località San Giorgio a Briatico.

Successivamente veniva trasportato a Porto Santo, attuale Vibo Marina, dove in parte veniva imbarcato e in parte utilizzato dalla Cementeria Segni. Nel 1924, terminata la prima guerra mondiale, la miniera fu chiusa nuovamente, per essere successivamente riaperta  nel Luglio 1940 allo scoppiare della seconda guerra mondiale. Nel 1935 all’Italia furono comminate delle sanzioni quali il blocco della fornitura di materie prime e lo Stato si trovò in grave difficoltà essendo quasi privo di ferro, carbone e petrolio. Si dovettero utilizzare le materie prime nazionali che erano molto scadenti come qualità. Infatti, avevano basso potere calorifico ed erano ricchi di zolfo.

 

La Miniera: Organizzazione e funzionamento

La società che iniziò lo sfruttamento del giacimento carbonifero era la LIMSA , ovvero Ligniti Italia Meridionale Società per Azioni. I lavori di realizzazione di tracciato e biglie iniziarono il 17 Luglio 1940 per opera dell’impresa Minervini Visconti. Il Direttore generale era Curdari di Roma, il Direttore di Miniera l’ingegnere Turbante di Bergamo ed infine gli assistenti erano Tolchi e Rubini. Successivamente all’Ingegnere Turbanti subentrarono l’ingegnere Pavesi e in un secondo momento l’Ingegnere Galastri. Quest’ultimo dopo la chiusura della miniera nel 1949 divenne direttore della Cementeria Segni, attuale Italcementi.

La zona di coltivazione della lignite venne collegata con Località Perara con una piccola ferrovia lunga circa 300 metri  che venne fornita di luce elettrica e con tutti i servizi utili all’attività. La coltivazione della lignite avveniva per gallerie ed erano presenti ben sei imbocchi. Quasi tutte le gallerie erano a sinistra del fiume Spataro. La prima galleria venne realizzata nel 1915 e venne utilizzata anche negli anni ’40 durante la riapertura effettuata nel corso della seconda guerra mondiale.

Tutte le gallerie furono realizzate in modo  da essere comunicanti fra di loro.  Il quarto imbocco non è stato mai completato perché si riempiva continuamente di fango. Il quinto imbocco veniva utilizzato come cunicolo di salvataggio. Il sesto imbocco veniva chiamato “Galleria di Santa Barbara”, perché all’interno di una nicchia nella galleria, era stata collocata la statua della santa. Questo cunicolo era comunicante con tutte le altre cinque gallerie ed era stavo scavato ad un livello inferiore rispetto alle altre. La funzione principale della Galleria di Santa Barbara era quella di portare fuori dai cunicoli i materiale quali argilla e carbone.

Il carbone estratto attraversava il fiume mediante l’uso di un teleferica, scaricando in una tramoggia,  sotto la quale si caricavano i vagoncini agganciati alla locomotiva. La Miniera era dotata di 300 carrelli. I vagoncini avevano due forme differenti: a forma di U per l’interno delle gallerie e a forma di V, più grandi per l’esterno. La Miniera disponeva inoltre di due locomotive a vapore, di cui solo una sola funzionante. Ogni macchina a vapore effettuava cinque o sei viaggi al giorno verso la Perara e ad ogni tratta trainava 20 vagoncini. Gli operai della Miniera erano circa 500 ed avevano le seguiti qualifiche e retribuzioni:

- Manovale: 8 lire al giorno.

- Minatore: 18 lire al giorno

- Aiuto Minatore:  12 lire al giorno.

- Aggancino

- Biarista

- Macchinista

- Frenatore

- Pesatore

- Arganista

- Forgiaro

- Elettricista

- Meccanico

- Magazziniere

- Falegname

- Guardiano

 

Gli strumenti del Minatore

La Miniera: Condizioni di lavoro

All’interno di ogni galleria lavoravano diverse squadre di operai composta ognuna da 4 membri. La squadra comprendeva lavoratori, che svolgevano diverse mansioni quali manovali, aiuto minatori e aggancini, che venivano coordinatori da un caposquadra. Il lavoro di estrazione della lignite era durissimo; all’interno delle gallerie la temperatura era molto più alta rispetto all’esterno ed era presente molta acqua che ristagnava nel terreno. Il carbone veniva estratto scavando a carponi e molto spesso si doveva sospendere il lavoro  per la mancanza di ossigeno. Nel caso di mancanza di ossigeno,ogni squadra faceva uso di una lampada elettrica ricaricabile che veniva rigenerata alla “Lampesteria”. A volte gli operai venivano improvvisamente colpiti  dalla paura perché il legname dei “quadri” scricchiolava sotto il carico del terreno sovrastante e la volta si abbassava.  Il cedere del terreno sovrastante era davvero pericolosissimo: diverse volte la semplice paura ha lasciato posto alla disgrazia e al dolore. Molte famiglie hanno perso i propri cari dovendoli lasciare sepolti per sempre sotto delle macerie all’interno di una galleria. Parecchi minatori sono morti dentro i  tunnel della Miniera, inghiotti dallo stesso carbone che per molto tempo ha dato loro da mangiare.

" 'A machinejia "  (La locomotiva)

 di Giacomo Barbieri

Scindia di la Pirara a la minera

la machinejia cu vinti carrelli:

paria nu dragu chi cacciava fumu,

veloci sferruzzando nta calata.

Pascali Pirilli, machinista espertu,

si sentia nu pilota d’aeroplanu;

e Peppi, giuvani frenaturi di parata,

non avia nenti i fari a la ncianata.

Sulu la machineja jia sbruffando,

trainandu  cchiù di vinti tonnellati,

di certu la fatiga la sentia:

"Non pozzu cchiù, non pozzu cchiù",

paria ca di continuo dicia.

Minatori

 di Giacomo Barbieri

La galleria nera, nella notte nera,

inghiotte i minatori.

Entrano come formiche nella tana

ad uno ad uno,

con le lampade di acetilene,

discutendo del giorno, di lavoro, di casa,

a volte ridendo per darsi coraggio.

Poi nel buio dei cunicoli

a cavar carbone,carponi.

Dentro non c’è freddo,

non c’è tempo per i pensieri, per i ricordi:

bisogna lavorare ed esser vigili,

ogni rumore, ogni scricchiolio fa paura,

paura di non vedere il sole,la luce.

Verranno fuori dopo otto ore,

più neri della notte,

più neri del carbone,

più neri della fame.

Santa Barbara

Santa Barbara da Nicomedia è la protettrice dei minatori, dei vigili del fuoco ed in generale, di chiunque rischi di morire di morte violente ed improvvisa. La Santa venne decapitata il 4 Dicembre del 306 d. C a causa  della sua conversione dal paganesimo al cristianesimo. Da  sempre è  molto venerata dai cattolici. Anche i minatori di Conidoni la veneravano solennemente. Possedevano una piccola statua che  durante l’anno era posta in una nicchia all’interno della galleria :  li difendeva dai fulmini che si abbattevano nei tunnel e dai gravi pericoli cui andavano incontro giornalmente.  Ogni anno, il 4 Dicembre, venivano effettuati grandi festeggiamenti. I minatori poggiavano la statua su un carrello (piattina ) e la portavano fino a Località Perara, luogo dove oggi sorge “Villa Perara”. La statua  veniva posta su un altare all’aperto preparato per l’occasione  ed in seguito veniva celebrata la Santa Messa.  Per la festa, nel paese, veniva portata la banda, ballavano i giganti, certe volte suonavano anche celebri orchestre. Venivano effettuati vari giochi come la cuccagna, la gara degli asini, dei sacchi. Delle volte venivano proiettati dei film nel piccolo cinema che c’era nel paese. Molto raramente  veniva il Vescovo a celebrare la S. Messa. In occasione della festa i  minatori devolvevano  la paga di un giorno in onore della loro Protettrice, osservavano un giorno di riposo, mangiavano tutti insieme, ballavano e spesso si ubriacavano. Anche la gente dei paesi vicini giungeva a Conidoni per partecipare a questa bellissima Festa.

Un momento tragico

Piove a dirotto. È notte. La miniera è illuminata come se fosse giorno. Il fragore dei tuoni si mescola allo sferragliare dei vagoncini, al rumore dei motori, degli argani, alle voci , agli ordini impartiti quasi gridando.

La vallata ha un aspetto quasi surreale. La sirena annuncia il cambio del turno : sono le 22. All’interno del terzo imbocco avvengono le consegne. Quinta trasversale di sinistra, 250 metri sotto terra; si lavora per abbattere una parete di carbone. Prendono servizio in quattro. Quelli che vanno via raccomandano attenzione e prudenza : hanno udito strani scricchiolii. Filippo Grasso, Saverio Boragina, Domenico G. e Mobrici staccano con i picconi il carbone rimasto sulla parete. È pericolosissimo. Domenico urta un quadro dell’armatura.

Saverio: “ A Micu si sempri u solitu! A chi penzi? A debita mei? Statti attentu! Non capisci ca cca s’arrizzica a vita?

Filippo vorrebbe dire qualcosa ma si limita a fare un gesto,girando un dito sulla tempia. Mobrici continua a caricare il vagoncino. Nessuno parla.

Saverio: “ Perdistivu a parola? Pensati ca domani è jornu i paga. Aju mindi iettu due litri!”

Domenico: “Cola D’Asculi sai comu aspetta a paga nostra! U si scunta ncunu debitu. Avi nu quadernu…”

Mobrici: “Prima dicistivu nommu si parra e mo cuminciastivu cu certi discurzi…”

Filippo è pensieroso, lavora senza parlare, spinge il vagoncino. All’improvviso si avverte un leggero tonfo. Scricchiola l’armatura. Si abbassa la volta del cunicolo. I quattro corrono verso la diretta urlando. Filippo torna indietro per recuperare gli attrezzi.

Tutto crolla.

Il povero Filippo viene sepolto dallo sfornella mento.

Domenico corre fuori urlando: “ Aiuto!!! A quinta du terzu mboccu sfurnellau. Filippu è atterratu.”

Saverio:“Maliditta faccetta! Ca volia.Stava nescendu e tornau arredi. Poveru sbenturatu. È inutili ca si fuji. Filippu sa cojjiu”

Mobrici: “ Era nu grandi fatigaturi! Poveru iju. Sbenturata a famijjia. U pani è amaru..”

Il giorno dopo il corpo di Filippo fu recuperato. Altri minatori morirono nella miniera.

Nella miniera non c’è tempo per piangere, commemorare, ricordare.  "Si deve scavare, vivere nel buio e sognare di vedere la luce"

Conidoni e la Miniera

Il legame fra Conidoni e la sua Miniera è molto intimo, molto stretto. L’economia e la situazione demografica del paese fino a qualche decennio fa, sono sempre state legate alla condizioni in cui versava la Miniera di lignite presente nella vallata sotto il paese. Nei periodi in cui la miniera venne coltivata Conidoni e tutti i paesi del circondario conobbero un certo benessere . Negli anni ’40 nel paese della Pitta Filata abitavano più di 500 persone. Moltissima gente lavorava in miniera, altri nell’indotto; parecchia gente esercitava un mestiere o una professione. Nel paese vi erano tre negozi di generi alimentari, un emporio aperto 24 ore su 24, un negozio di stoffe, tre falegnami, cinque calzolai, due barbieri, tre forni,  tre frantoi, un allevamento di api con duecento famiglie, le scuole elementari,  un tabaccaio, un fabbricante di basti ( Zu Titta ), un cinema aperto tre giorni a settimana e gestito da Grillo di Vibo Valentia, tre medici, tre insegnanti, un farmacista, un geometra, un avvocato, due preti, filatrici e tessitrici, i carabinieri e un maresciallo. Fra le tessitrici, prima fra tutte, va ricordata Mariantonia Nicolino, maestra al telaio dell’ordito,della trama e della tessitura. Maddalena Ventrice, invece, era la levatrice di tutti i parti del paese. Alla fine degli anni ‘40 fu attivo per brevissimo tempo un piccolo ospedale nel quale il Dottore Filippo Grasso eseguiva delle operazioni. Il resto della popolazione era per lo più formata da “massari”, contadini, muratori ed operai.

Proverbi e Ditteri

Non sempri a nu mulinu macinari e mai a nu sulu furnu fari pani.

Acqua passata no macina mulinu.

U mulinu no macina senza acqua.

Ognunu tira l’acqua o mulinu soi.

Puru Don Peppinu voli u si faci u mulinu.

Cu vaci o mulinu si imparina,

e si cundi cu vaci a lu troppitu.

Né mulinaru, né mulinu, né signuri pe vicinu.

Né mulu, né mulinu, né patruni cosentinu,

né mujjieri tropiana, né stabili nta jumara.

Votarejia di mulinu :

cazatumbulu e tamburrinu.

Non è farina du saccu soi.

Vigna e mortu, omu mortu.

L’ortu du vicinu è sempri chiù virdi.

Cavulu cottu e cavulu jurutu,

chiju c’hai fattu l’hai perdutu.

I mbrojji du troppitu i sapi u troppitaru.

Sparagna Donna Fina quando a giarra è china.

Ca quando u fundu pari no ti vali sparagnari.

Cu tocca u carvuni, si tingi.

Cu nta minera trasi , nigaru nesci.

U minaturi chi trasi nta galleria,

scava u carvuni chi trova. 

La Miniera: La chiusura definitiva

La Miniera di lignite chiuse definitivamente  nel Dicembre del 1949. Alcuni operai vennero assunti dalla Cementeria Segni, i più furono costretti ad emigrare. Nel censimento effettuato nel 1951 ben 70 cittadini di Conidoni risultavano emigrati,la maggior parte ex lavoratori della Miniera. La destinazione più battuta era il Sud America. La maggioranza non tornarono mai più a Conidoni. Con il passare degli anni le mete migratorie preferite divennero l’Europa ed il Nord Italia. La Miniera fu importantissima, per Conidoni e il vicino paese di Sciconi, per la nuova cultura del lavoro che si andava acquisendo, rivoluzionaria sotto il profilo sociale.

 Giacomo Barbieri

Conidoni anni '40 - La Ferrovia della Miniera

Gente che attraversa il vecchio ponte sul fiume spataro  (si noti la ferrovia)

Di seguito il Libretto di Lavoro di un Minatore degli anni '40

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