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 Archeologia Preistorica e Protostorica nel Poro

 I Libri del Poro

In collaborazione con l'Istituto Comprensivo "Don Francesco Mottola" di Tropea, rendiamo fruibile via web una loro pubblicazione relativa e dedicata all'Archeologia Preistorica e Protostorica del Promontorio del Poro.

La pubblicazione costituisce il risultato di un progetto didattico attuato dalla Scuola Media di Drapia, nell'anno scolastico 2005/06, con il contributo ed il patrocinio dell'Amministrazione comunale, che ha visto alunni e docenti - insieme alla referente Prof.ssa Pasqualina Pulicari, che si è avvalsa della collaborazione dell'esperto esterno Francesco Rombolà e del coordinatore scientifico Chi.mo Prof. Marco Pacciarelli dell'università Federico II di Napoli - impegnati a studiare le scoperte di Paolo Orsi e ad analizzare tutti gli altri preziosi ritrovamenti, che costituiscono le tracce straordinarie ed antichissime del "lunghissimo arco di tempo" della preistoria e protostoria, in parte del loro territorio.

Il progetto ha come principale obiettivi formativo quello di "guidare gli alunni all'apprendimento del metodo scientifico di ricerca ed utilizzazione delle fonti, alla coscienza della propria realtà, alla riscoperta del proprio passato e delle proprie radici".

Un plauso, le nostre congratulazioni e ringraziamenti va a tutti coloro che si sono impegnati per questa preziosa ricerca: il referente del progetto Pasqualina Pulicari, il coordinamento scientifico del progetto composto da Francesco Laganà, Marco Pacciarelli e Francesco Rombolà, gli alunni e i docenti impegnati, il Sindaco del comune di Drapia Dott. Aurelio Rombolà per la collaborazione fornita all'avvio del progetto.

Doverosamente ringraziamo il Dirigente Scolastico dell'Istituto comprensivo Prof. Francesco Laganà, Responsabile dell'Istituto che consente questa pubblicazione.

                                                                                                                     La Redazione

Indice e Struttura della Ricerca:

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L’archeologia  preistorica e protostorica nel Promontorio del Poro

Questo opuscolo è stato realizzato nell’ambito di un progetto didattico della Scuola Media di Drapia (VV) svolto nell’anno scolastico 2005-2006 con la partecipazione di tutti gli allievi e docenti e il coordinamento del prof. Marco Pacciarelli dell’Università Federico II di Napoli e di Francesco Rombolà.

L’obiettivo è quello di fornire alcune informazioni aggiornate sulla preistoria e la protostoria, e in particolare sul ricco panorama di scoperte realizzate a partire da Paolo Orsi nel promontorio del Poro. Si tratta di numerosi ritrovamenti, spesso ancora inediti, o di cui è stata data notizia solo in pubblicazioni specialistiche, che nell’insieme costituiscono un patrimonio di enorme importanza scientifica. Realmente eccezionale è infatti la concentrazione entro un’area limitata di ritrovamenti non solo molto numerosi, ma che coprono quasi tutto il lunghissimo arco di tempo della preistoria e della protostoria.

La speranza è che la lettura di queste pagine possa contribuire a far conoscere la storia antichissima ed altamente significativa di questo territorio, e a rendere consapevoli dell’importanza di scoprire, proteggere e valorizzare le testimonianze del nostro più antico passato.                                                                                 Ritorno all'indice

 Il Promontorio del Poro:  Geografia  e  Risorse

 

Fig. 1 Il promontorio del Poro (parte centrale);

Il tratto di costa meridionale della Calabria si protende nel Mar Tirreno con una grande sporgenza denominata promontorio del  Poro o di Tropea (fig. 1).

Composto da una ossatura di rocce di base prevalentemente granitiche, il promontorio culmina alla sommità in una vasta spianata che prende il nome di altopiano del Poro (fig. 2). Su questa vasta superficie ondulata, la cui altitudine oscilla tra i 500 e i 700 metri s.l.m., sono presenti suoli molto leggeri - quindi facilmente lavorabili - ed eccezionalmente fertili a causa della presenza di materiali vulcanici fini portati dal vento, forse provenienti dalle bocche eruttive delle isole Eolie. L’altopiano offre condizioni molto favorevoli per l’agricoltura seminativa (cereali, legumi) e l’allevamento (bovini e caprovini), anche grazie a una notevole abbondanza di sorgenti d’acqua e a un microclima abbastanza fresco e umido.

Il territorio dell’altopiano è suddiviso attualmente tra i territori comunali di una serie di centri abitati che si dispongono ai suoi margini o attorno ad esso: Joppolo, Nicotera, Rombiolo, Filandari, Cessaniti, Zungri, Zaccanopoli, Drapia, Spilinga.

L’altopiano termina a sud verso Nicotera e Joppolo con ripidi pendii granitici, e verso ovest (comuni di Parghelia, Tropea, Zaccanopoli, Drapia, Spilinga e Ricadi) e nord (comuni di Zungri, Zambrone, Briatico, Cessaniti) con una serie di terrazzi, che come una sorta di ampi gradoni naturali digradano progressivamente verso il mare. Tra i principali terrazzi si succedono, par tendo dall’alto, quello su cui vi sono Spilinga, Caria e Zaccanopoli (ca. m 400-450 s.l.m.), poi vi è quello di Brattirò (ca. m 320-340), quello di Ricadi e Sant’Angelo (ca. m 260-290), quello di Zambrone (ca. m 210-240), quello di San Costantino, Conidoni e Paradisoni (ca. m 150-190) e infine quello posto lungo il mare sul quale sorgono Tropea e Parghelia (m 50-80). La loro composizione è in prevalenza a base di rocce calcarenitiche e sabbie, deposte dal mare al di sopra dei graniti alcuni milioni di anni fa, durante il Miocene. All’interno di questi sedimenti si rinvengono di frequente fossili di coralli, molluschi, echinodermi (Clypeaster), e talvolta di squali e grandi mammiferi marini (Sirenidi).

  Fig. 2 Veduta del fertile altopiano del Poro

 La zona dei terrazzi di origine marina, benché un pò meno fertile dell’altopiano, è anch’essa ottimamente utilizzabile tanto per l’allevamento e l’agricoltura seminativa, quanto per le colture della vite e dell’olivo, ancora oggi molto floride.

I corsi d’acqua che scendono dall’altopiano verso il mare (i maggiori sono la fiumara della Ruffa e il torrente Murrìa) hanno inciso con la loro azione erosiva i terrazzi, formando una serie di profonde valli e delimitando spesso dei pianori, ovvero delle colline a sommità pianeggiante con fianchi molto ripidi. Potendo essere facilmente difese da attacchi nemici, queste alture sono spesso state scelte nel passato, soprattutto durante le fasi più turbolente (protostoria e medioevo), come sede di centri abitati.

Un buon esempio di insediamento su pianoro, fiorito nell’età del bronzo e dal medioevo in poi, è quello di Briatico Vecchio nella valle del torrente Murrìa. Il paese, dopo il catastrofico terremoto del 1783, fu abbandonato dalla popolazione superstite, che rifugiandosi in un luogo più aperto e accessibile lungo la costa fondò l’attuale Briatico.

Un altro caso esemplare è quello del centro abitato protostorico e medievale di Mesiano Vecchio (fig 13).

Nella stretta fascia costiera vi è la possibilità di praticare coltivazioni particolari, a causa delle temperature particolarmente miti anche d’inverno (è questa la zona in cui oggi si sviluppano le colture della cipolla e degli agrumi e in cui maturano perfino le banane), e di esercitare la pesca e le attività di trasporto marittimo. Alla foce dei torrenti e presso alcune insenature delimitate da sporgenze rocciose della costa (ad es. Capo Vaticano), si presentano infatti in vari punti buone opportunità per il ricovero delle imbarcazioni.

Il promontorio del Poro negli ultimi millenni ha sempre dunque rappresentato un luogo ideale per l'insediamento umano. Il territorio permette di praticare un'agricoltura ed un allevamento molto redditizi, e differenziati nei diversi settori geografici in base alle diverse caratteristiche dei suoli, del microclima e della disponibilità d’acqua. Il paesaggio offre forme articolate, e in particolare pianori difendibili su cui collocare sedi abitate strategiche nei periodi di maggiore tensione, e insenature ed approdi lungo la costa. La posizione geografica del promontorio è per di più molto favorevole per l’inserimento sia nelle rotte di navigazione locali tra la Calabria, la Sicilia e le Eolie, sia in quelle a lunga distanza transitanti per lo stretto di Messina.

Queste considerazioni valgono non solo per la storia degli ultimi secoli, ma anche per tutte le civiltà a base agricola del medioevo, dell’antichità, della protostoria (età del bronzo e del ferro) e della preistoria recente (età del rame e Neolitico).

Per quanto riguarda la preistoria più antica, e in particolare il Paleolitico, bisogna invece ricordare che in un’età anteriore a 12.000 anni fa il clima e la geografia erano molto diversi, così come totalmente differenti erano le basi dell’economia, fondata esclusivamente sulla caccia agli animali selvatici e sulla raccolta dei vegetali spontanei. Tuttavia, per motivi probabilmente piuttosto diversi da quelli discussi, il territorio era frequentato dall’uomo anche durante questi antichissimi periodi, come testimoniano i numerosi ritrovamenti del Paleolitico.    Ritorno all'indice

Le ricerche sulla preistoria e la protostoria del Promontorio del Poro

Il promontorio di Tropea può essere considerato uno dei territori più ricchi in assoluto di ritrovamenti archeologici della preistoria (costituita da: Paleolitico, all’incirca da 1.000.000 di anni fa al 10.000 a.C.; Mesolitico, ca. 10.000-6.000 a.C.; Neolitico, ca. 6000-3700 a.C.; età del rame, ca. 3700-2300 a.C.) e della protostoria (suddivisa in: età del bronzo, ca. 2300-925 a.C.; prima età del ferro, ca. 925-725 a.C.).

Fig. 3 - Paolo Orsi si recava sugli scavi anche a prezzo di grandi disagi. Qui è a Locri sofferente di artrite (da L. Costamagna, in Rivista Storica Calabrese, 1985)

La prima grande scoperta, a tutt'oggi ancora la più importante, fu quella della necropoli della prima età del ferro scavata da Paolo Orsi a Torre Galli nel comune di Drapia. Orsi fu certamente il più grande archeologo che l’Italia abbia avuto (fig. 3). Nato a Rovereto nel Trentino, si dedicò principalmente  all’archeologia siciliana  e calabrese. A lui si devono innumerevoli ricerche di fondamentale importanza nel campo dell’archeologia classica. In Calabria scavò tra l’altro le città greche di Locri, Medma (Rosarno), Ipponio (Vibo Valentia), Caulonia (Monasterace Marina). Egli tuttavia si dedicò con uguale energia e pari successo allo studio delle civiltà indigene preelleniche. La decisione di scavare a Torre Galli nacque quando vide nella collezione di reperti del marchese Felice Toraldo di Tropea una serie di interessanti manufatti protostorici, che i contadini della famiglia Mazzeo di Caria raccoglievano nei terreni della pianuretta di Savo, situata presso Torre Galli.

Nel 1922 e 1923 Orsi vi condusse due intense campagne di scavo archeologico, che permisero di individuare oltre 330 sepolture, quasi tutte a fossa (fig. 4). Circa 280 tombe appartenevano a una civiltà indigena degli inizi della prima età del ferro (fine X-IX sec. a.C.), precedente di oltre un secolo l’arrivo dei coloni greci.

Fig. 4 Pianta della tomba 99 di Torre Galli, redatta da Orsi e passata a china dal suo provetto disegnatore Rosario Carta

Le restanti erano invece dei secoli VII e soprattutto VI a.C. La pubblicazione dello scavo, edita nel 1926, stupì il mondo scientifico per l’evoluto stato di organizzazione della società che emergeva dai corredi funerari deposti con i defunti. Particolarmente numerosi erano gli ornamenti e gli strumenti per filare e tessere nelle tombe femminili, e le armi (spade e soprattutto lance) in quelle maschili.

Tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’60 alcuni cultori locali di Tropea, tra cui Gilberto Toraldo di Francia, Pasquale Toraldo (figlio di Felice) e Mons. Francesco Pugliese iniziarono a raccogliere notizie e reperti riguardanti l’età protostorica. In particolare controllando i cantieri edili alla periferia di Tropea raccolsero manufatti provenienti da sepolture a incinerazione dell’età del bronzo finale. In seguito ad alcune di queste segnalazioni nel 1962 Santo Tinè, allora operante nella Sopraintendenza Archeologica della Calabria, recuperò una importante sepoltura dello stesso periodo, comprendente un’urna di terracotta e altri due vasi, oltre a un rasoio di bronzo.

Alla fine degli anni ’60 inizia ad operare un gruppo di appassionati e cultori di archeologia, che dapprima operano con i Gruppi Archeologici d’Italia, e nel 1980, su impulso di Mons. Pugliese, costituiscono l’Associazione Culturale Paolo Orsi. Tra i soci che si sono dedicati con continuità all’archeologia vi sono Alfonso Lo Torto di Tropea e Francesco e Cosmo Rombolà e Ferdinando Staropoli di Caria, ma molti altri (tra cui Carlo Alberto De Monte, Amedeo Giroldini, Antonio Bagnato, etc.) hanno contribuito in vario modo alle ricerche nel corso degli anni.

In stretto e costante raccordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria – soprattutto nelle persone dei funzionari di zona Claudio Sabbione e Maria Teresa Iannelli, e dei Soprintendenti Giuseppe Foti e poi Elena Lattanzi (cui dal 2005 è succeduta Annalisa Zarattini, con cui continua la collaborazione) – vennero recuperati tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80 una serie di  reperti venuti in luce casualmente durante la realizzazione di edifici, cave o infrastrutture (canali, strade, etc.). Di grande importanza furono i ritrovamenti nella località Passo Murato presso Rombiolo (abitato dell’età del rame), nelle grandi cave presso Cessaniti (abitato dell’antica età del bronzo), nei cantieri edili di Tropea (sepolture del Bronzo medio e finale), e nella necropoli di Torre Galli (sepolture della prima età del ferro).

Da segnalazioni di soci dell’associazione hanno avuto origine alcune indagini condotte dalla Soprintendenza nello stesso periodo, tra cui uno scavo effettuato da Claudio Sabbione e Domenico Amoroso nella necropoli e nell’abitato di Torre Galli, e il recupero di una tomba dell’età del bronzo in loc. Bagneria presso Santa Domenica di Ricadi.

Importanti scavi, seguiti da Orazio Paoletti e diretti da Claudio Sabbione, furono condotti a Tropea dalla Soprintendenza nel 1980. Nel centro storico vennero in luce tra l’altro molte ceramiche dell’età del bronzo, mentre nelle zone periferiche fu rinvenuta una tomba della prima età del ferro.

Sempre con il pieno accordo della Soprintendenza nacque dagli anni ’80 uno stretto e continuativo rapporto tra l’Associazione Paolo Orsi e due archeologi romani: Maria Rita Varricchio, laureatasi presso l’Università La Sapienza di Roma con una tesi sugli insediamenti del Bronzo medio e recente del promontorio, e Marco Pacciarelli, che si laureò anch’egli nello stesso ateneo con una tesi sulla necropoli di Torre Galli, e che dal 2002 opera in Calabria come professore di ruolo dell’Università Federico II di Napoli.

Insieme a Varricchio e Pacciarelli inizia un’attività di ricognizione intensiva nell’area del promontorio, che conduce alla  scoperta di un eccezionale numero di siti (oltre cento) databili tra il Neolitico e la prima età del ferro. Tra gli altri, si possono ricordare i numerosi resti di abitato delle età del rame e del bronzo individuati sull’altopiano del Poro, e gli importanti abitati dell’età del bronzo su pianoro quali Briatico vecchio, Torre Sant’Irene, Torre  Marrana,  Gallo, Mancipa, Mesiano vecchio, Pirara, etc.

Per conto della Soprintendenza Marco Pacciarelli ha condotto alcune campagne di scavo tra gli anni ’80 e ‘90 nell’abitato di Torre Galli, nel 1989 nella necropoli di Bagneria a Santa Domenica di Ricadi, e nel 1994 a Punta di Zambrone.

Nel corso degli anni sono stati dati alle stampe diversi studi sui ritrovamenti delle età del rame, del bronzo e del ferro (v. bibliografia), e molti altri sono in preparazione. Nel1999 è uscito ad opera di Marco Pacciarelli il volume dedicato alla pubblicazione completa e allo studio degli oltre 2000 reperti ritrovati da Orsi nelle sepolture della prima età del ferro di Torre Galli.

I soci dell’Associazione Paolo Orsi hanno inoltre intrattenuto un rapporto di collaborazione per quanto concerne il Paleolitico con Paolo Gambassini e Annamaria Ronchitelli dell’Università di Siena. Ciò ha stimolato un’intensa attività di ricerca e raccolta di industrie in pietra scheggiata del Paleolitico, identificate in decine di località del promontorio. Due di questi giacimenti archeologici, quelli di Zambrone Scalo e di Punta Safò presso Briatico, sono stati oggetto di pubblicazioni scientifiche (v. bibliografia). Nel primo è stato praticato nel 1994 da Gambassini anche un sondaggio di scavo, grazie al sostegno della Soprintendenza.

È da ricordare inoltre che alcuni ritrovamenti furono fatti a Torre Galli e in altre località tra gli anni ’60 e ’70 da Achille Solano del Museo Civico di Nicotera. Solano e i suoi collaboratori hanno tuttavia condotto recuperi principalmente a sud dell’area qui considerata. Tra i principali ritrovamenti facenti capo a Solano si ricordano l’abitato del Neolitico inferiore di Sovereto di Nicotera, i  vasi probabilmente funerari del Bronzo antico di Contrada Montalto di Nicotera, l’abitato del Bronzo medio di Torre Parnaso di Joppolo, la necropoli della prima età del ferro di Contrada Rota (comune di Candidoni).

È da ricordare che nel settore settentrionale del promontorio ha operato un altro cultore locale, Francesco Staropoli di Briatico, cui si deve la scoperta nel 1997 dell’importante tomba dell’età del bronzo di Gallo di Briatico, recuperata insieme a Maria Teresa Iannelli, e pubblicata da Marco Pacciarelli nel 2001.

All’iniziativa di M.T. Iannelli si deve anche la realizzazione dello scavo dell’insediamento dell’età del rame di Gallo di Briatico, segnalato dall’Associazione Paolo Orsi. Lo scavo, condotto da Giuditta Grandinetti, è stato oggetto di una recente pubblicazione, nell’ambito di un articolo a più firme in cui sono considerati anche reperti di un sito dello stesso periodo identificato sull’altopiano in località Colarizzi (comune di Spilinga).                                Ritorno all'indice

Il Paleolitico (fino al 10.000 a.C. circa)

Strumenti di pietra lavorata delle più antiche comunità di cacciatori-raccoglitori

Ricostruire la lunga storia dell’evoluzione che ha portato all’uomo par tendo dallo studio dei pochi fossili superstiti è un po’ come voler ricostruire il disegno di un mosaico disponendo solo  di qualche tessera  sparsa.  Eppure  il  paziente  lavoro  dei paleontologi ha permesso di arrivare ad una serie di importanti acquisizioni scientifiche sulle origini della specie umana.

In base alle conoscenze attuali i più antichi e più importanti processi evolutivi sono avvenuti in Africa negli ultimi 6-7 milioni di anni.  La celebre scoperta dello scheletro di ‘Lucy’ e di molti altri fossili ha permesso di riconoscere l’esistenza di uno dei più lontani antenati dell’uomo, L’Australopithecus  afarensis. Già  tra i 4 e i 3 milioni di anni fa nell’Africa orientale questo Primate era in grado di spostar si per lunghi tratti camminando sui due arti inferiori, come dimostrano le numerose  impronte dello stesso periodo scoperte a Laetoli.

Il genere Homo compare in Africa più tardi, intorno ai 2,5 milioni di anni fa. Le specie più antiche sono l’Homo rudolphensis e l’Homo habilis, che sono già in grado di produrre primitivi strumenti in pietra. Da questo momento si può far iniziare il Paleolitico (antica età della pietra), lunghissimo periodo caratterizzato da un modo di vita nomade basato sulla caccia e sulla raccolta dei vegetali spontanei, e dalla realizzazione di manufatti in pietra ottenuti con la tecnica della scheggiatura. Gli insiemi più tipici di reperti di pietra lavorata (non solo strumenti, ma anche schegge, scarti di lavorazione, nuclei scheggiati, etc.) costituiscono le cosiddette industrie litiche.

Anche se alcuni fossili del genere Homo databili a ben 1,8 milioni di anni fa sono stati trovati a est del Mar Nero, il vero e proprio popolamento umano dell’Europa si sviluppa gradualmente all’incirca a partire da  un milione di anni fa, nel corso della fase iniziale dell’età della pietra, il Paleolitico Inferiore, che termina circa centocinquantamila anni fa. In questo lungo periodo gli studiosi riconoscono in Europa varie forme umane, tra cui la meglio conosciuta è l’Homo heidelbergensis.

La fase più antica del Paleolitico Inferiore è testimoniata in Italia da alcuni resti fossili – il cranio umano più antico è al momento quello di Ceprano, datato intorno a 900.000 anni fa – e soprattutto dalle cosiddette industrie su ciottolo, il cui manufatto più tipico è il chopper (fig. 5). Si tratta di un primitivo strumento ottenuto scheggiando mediante percussione l’estremità di un ciottolo, al fine di ottenere un margine tagliente.

 Fig. 5  - Chopper da Zambrone Scalo

Le ricerche hanno potuto dimostrare che il Promontorio del Poro è una delle zone più ricche d’Italia di questi strumenti. In oltre trenta aree si sono infatti  raccolti numerosi esemplari di chopper, realizzati in pietre locali come il granito, il quarzo bianco e la quarzite. Tra le località principali si ricordano Crista di Gallo, Crista di Zungri, Torre Galli, Passo Murato, Piana di Santa Lucia, bivio di Potenzoni, Madama, Priscopio, Zambrone Scalo. Da quest'ultima località proviene un notevole numero di chopper, ritenuti molto antichi – forse di 800.000 anni fa – da Paolo Gambassini e Annamaria Ronchitelli.

Molto pochi sono invece gli esemplari di bifacciali, strumenti a forma di mandorla scheggiati su entrambe le facce, che caratterizzano la cosiddetta industria ‘Acheuleana’, della fase più evoluta del Paleolitico inferiore. Il Paleolitico medio (ca. 150.000-35.000 anni fa) corrisponde allo sviluppo di una forma umana che si è evoluta in loco nell’Europa e nell’Asia occidentale, l’uomo di Neandertal (nome scientifico: Homo neanderthalensis). Un frammento di cranio fossile appartenente a un bambino di questa specie è stato rinvenuto ai margini meridionali del promontorio, nella contrada Iannì di San Calogero L’industria litica di questo periodo, denominata ‘musteriana’, comprende strumenti realizzati su schegge, come le punte (fig. 6), i raschiatoi, i denticolati, etc. Essa è ben rappresentata sull’altopiano del Poro, ad esempio a Passo Murato, Crista di Gallo, Monte Poro, e nella zona dei terrazzi marini a Daffinacello di Zambrone.

Fig. 6   - Punta musteriana del Paleolitico medio

L’uomo di Neandertal a partire da circa 80.000 anni fa dovette adattarsi al raffreddamento del clima che corrispose all’inizio dell’ultimo grande periodo glaciale: la glaciazione di Würm.

La  formazione di enormi calotte di ghiaccio rese inabitabili molte zone, tra cui l’Europa del Nord e le Alpi. Il raffreddamento modificò la vegetazione e la fauna, e persino la geografia. Poiché una par te notevole dell’acqua del pianeta rimase ‘intrappolata’ nei ghiacci intorno ai Poli e sulle maggiori catene montuose, il livello del mare scese di diverse decine di metri. A causa di ciò molte  zone che oggi sono sotto il livello del mare erano emerse a quell'epoca. Davanti alle attuali coste del Promontorio di Tropea vi era dunque una ampia pianura.

Mentre in Europa si sviluppava l’uomo di Neandertal, in Africa alcuni gruppi umani iniziarono ad evolversi verso una nuova specie: l’Homo Sapiens. Questi gruppi, che rappresentano gli antenati di tutta l’umanità attuale, intorno a 90.000 anni fa arrivarono già nelle regioni asiatiche più vicine all’Africa (attuale Israele). Ma è soprattutto verso i 50-40.000 anni fa che iniziò la loro diffusione massiccia in tutto il pianeta, che in Europa si compie verso i 30.000 anni fa, con la completa occupazione del continente e l’estinzione dell’uomo di Neandertal.

Con l’Homo Sapiens si diffondono in Europa le industrie litiche del Paleolitico superiore (35.000-12.000 anni fa), che nel promontorio del Poro sono presenti con grande abbondanza a Torre Galli e Punta Safò, e in quantità minori in altri luoghi tra cui Crista di Gallo e Contrada Povertate. Attraverso tecniche di scheggiatura molto più  perfezionate si ottengono ora in prevalenza lame (schegge molto allungate a margini paralleli) e altri strumenti.

La pietra più utilizzata è la selce, ottenuta spesso attraverso scambi anche con zone distanti. In questo periodo continua il clima glaciale, con tutte le sue modificazioni ambientali.

Al termine dell’ultimo periodo glaciale, circa 12.000 anni fa, il clima tornò lentamente a stabilizzarsi su valori non molto diversi da quelli odierni. Il livello del mare salì fino a livelli simili agli attuali, e si diffusero una flora e una fauna selvatica tipiche di climi temperati.

Resti del periodo Mesolitico, che corrisponde alla civiltà dei cacciatori-raccoglitori che vissero dopo la fine della glaciazione (in Italia all’incirca tra il X e il VII millennio a.C.), non sono per ora stati individuati nell’area del promontorio.                                   Ritorno all'indice

Il Neolitico (VI-inizi IV millennio a.C.)

Tracce di insediamenti delle prime civiltà di agricoltori e allevatori

Con il Neolitico si compie il più grande cambiamento nella storia dell’uomo: il passaggio dall’antichissimo modo di vita basato esclusivamente sul prelievo delle risorse esistenti in natura – cioè sulla caccia agli animali selvatici e la raccolta dei vegetali spontanei – a un’economia fondata sulla produzione del cibo mediante l’agricoltura e l’allevamento.

Le prime specie coltivate e allevate dai contadini neolitici del continente europeo sono le stesse che furono alla base dell’alimentazione di tutte le civiltà antiche e medievali, e che sono ancora  oggi fondamentali: cereali come il grano e l’orzo (oltre al farro, oggi non molto usato), legumi come ceci, piselli, lenticchie, fave, animali come buoi, maiali, pecore e capre.

Questa nuova economia non è stata elaborata per la prima volta in Europa, ma nel Vicino Oriente, e in particolare nell’area chiamata  Mezzaluna  Fertile  (Israele,  Libano,  Siria,  Iraq).  Qui vivevano specie selvatiche di cereali e legumi che i locali gruppi umani del Mesolitico raccoglievano per la loro alimentazione. Tali gruppi nel corso del IX millennio a.C. passarono gradualmente alla semina e al dissodamento dei campi, selezionando nel corso del tempo  le piante con le caratteristiche più  vantaggiose,  e creando così le specie coltivabili domestiche.

I primi agricoltori della Mezzaluna Fertile intorno al 7000 a.C. impararono anche ad  addomesticare e selezionare  alcuni animali, sviluppando l’allevamento dapprima della capra e della pecora, e poi anche del bue e del maiale. Idearono inoltre nuove tecnologie tra cui la produzione di vasi di ceramica, ottenuta cocendo recipienti d’argilla (l’archeologo Gordon Childe definisce la ceramica ‘il primo materiale artificiale’).

La civiltà neolitica fondata su agricoltura, allevamento, ceramica, vita in villaggi stabili, si diffuse dal Vicino Oriente in molte direzioni, e raggiunse l’Italia intorno al 6000 a.C.

Molto abbondante nei villaggi neolitici italiani fin dagli inizi del periodo è la ceramica. Studiandone il variare della forma e della decorazione gli archeologi  riconoscono  delle ‘facies archeologiche’ o‘stili’, ovvero degli insiemi di manufatti con forme e decorazioni ricorrenti, caratteristici di determinati periodi ed aree geografiche.

Fig. 7  – Vaso neolitico con ansa a rocchetto (facies di Diana) da contrada Campo presso Tropea

Oltre alla ceramica nei villaggi si rinvengono anche molti strumenti in pietra scheggiata, tra cui lame e punte di freccia. Tra le materie prime comunemente utilizzate vi è  ancora la selce, che viene anche cavata da grandi miniere, come quelle trovate nel Gargano. Molto richiesta era inoltre l’ossidiana, roccia vetrosa vulcanica di colore nero, proveniente soprattutto dalle  isole di Lipari e Palmarola e dalla Sardegna.

Ma l'innovazione più importante nella lavorazione della pietra è l’inizio della produzione di asce e altri strumenti in pietre dure levigate (Neolitico significa ‘età della pietra nuova’ proprio a causa di ciò).

Le scoperte di insediamenti delle fasi più antiche del Neolitico nel promontorio di Tropea sono molto poche, forse perché i primi agricoltori preferivano terreni sabbiosi come quelli delle dune di Acconia  presso Curinga, ricchissimi di siti di questo periodo. Qualche frammento di ceramica riccamente decorata nel tipico stile ‘di Stentinello’ è stato raccolto vicino Torre Galli, nella località ‘Petti dell’Arena’, e nei pressi di Ricadi. 

Più numerosi sono i ritrovamenti della fase finale del Neolitico. Ceramiche dello stile ‘di Diana’, prive di decorazione ma con tipiche anse ‘a rocchetto’, sono state raccolte in diversi punti dell’altopiano del Poro, e anche in altre zone. In un cantiere nella contrada Campo presso Tropea sono stati recuperati un vaso frammentario in gran par te ricomponibile (fig. 7) e frammenti di un vaso molto più grande, che è possibile appartenessero ad una sepoltura.

La presenza di varie tracce di abitati della fine del Neolitico sull’altopiano indica l’inizio dello sfruttamento agricolo dei suoi fertili suoli, agevolato probabilmente dall’introduzione dell’aratro, che avviene proprio in questo periodo.

Da alcune località dell’altopiano e della costa provengono inoltre strumenti di pietra databili al Neolitico, tra cui schegge e lame di ossidiana, e asce di pietra levigata. 

Fig. 8  - Ascia-Martello in pietra levigata dell’età del rame dall’altopiano del Poro

 

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L’età del rame (3700-2300 a.C.)

Un periodo di intenso popolamento agricolo dell’altopiano del Poro

Le comunità agricole continuano a svilupparsi in Europa e in Italia nel corso del IV e III millennio a.C., durante il periodo che prende il nome di età del rame (o eneolitico) perché inizia la produzione di manufatti metallici, in genere di rame, ma talvolta anche di argento, antimonio, etc. La metallurgia non sostituisce tuttavia la lavorazione della pietra, che anzi si specializza nella produzione di manufatti di accurata esecuzione, come pugnali di selce scheggiata e asce-martello di pietra dura levigata (fig. 8).

In quest'epoca in molte zone d’Europa vengono costruiti grandi monumenti di pietra (megaliti). Si tratta in  genere di tombe (dolmen), o di luoghi sacri in cui si svolgevano particolari cerimonie.

Sono  conosciute  anche rappresentazioni in pietra di figure  umane  (statue stele). Nell’Italia centro-meridionale i monumenti in pietra sono molto rari, ma si osserva comunque un grande rilievo dato ai riti e alle strutture sepolcrali. I defunti erano posti abitualmente insieme a vari manufatti entro tombe a grotticella (cioè a piccola camera  a  forma  di  forno  scavata  nella  roccia)  la cui  porta d’ingresso veniva chiusa da un lastrone di roccia. Sono note però anche tombe a fossa, e in un solo caso, per ora eccezionale, a incinerazione.

Meno conosciuti sono gli abitati di questo periodo, forse anche perché spesso lasciano tracce non molto consistenti, a causa della tendenza a insistere sul medesimo luogo solo per periodi non molto lunghi. L’area del promontorio del Poro è una delle pochissime aree della penisola italiana in cui è stata riscontrata una concentrazione molto elevata di abitati.

Le ricerche effettuate sull’altopiano del Poro (fig. 2) hanno infatti portato a individuare decine di aree in cui affiorano frammenti dell’età del rame. Ciò indica che in quell'epoca abitavano sull’altopiano numerose comunità, che certamente ne coltivavano i fertilissimi terreni. Questi, a causa della loro leggerezza, potevano inoltre essere facilmente lavorati con aratri di tipo preistorico, fatti interamente di legno.

Va comunque considerato che i resti di insediamento sono numerosi  anche  perché come si è detto nel lungo periodo dell’età del rame i villaggi cambiavano posizione abbastanza frequentemente. Ciò  forse avveniva perché quando la fertilità dei terreni vicini alle abitazioni si era esaurita a causa dell’uso, ci si spostava alla ricerca di terreni meno sfruttati.

Una gran parte dei resti di insediamento si concentra in una zona centrale dell’altopiano, attorno ad una depressione in cui doveva esservi un piccolo lago. A Passo Murato furono  infatti recuperati  una serie di frammenti dell’età del rame entro uno strato di sedimenti molto fini di origine lacustre, sopra i quali vi era della torba (vegetazione fossilizzata di solito formata entro un bacino lacustre in via di riempimento). Del resto fino a poco tempo fa entro questa  piccola valle, che oggi è drenata da un canale, doveva spesso riformarsi uno specchio d’acqua (visto anche che nella zona vi è un luogo chiamato ‘Lacco’).

Anche nelle zone costiere vi sono alcuni ritrovamenti, il più impor tante dei quali è quello di Gallo presso Briatico. Lo scavo del 1995 ha potuto accertare che si trattava non di un villaggio abitato con continuità, ma di un piccolo insediamento in cui vi erano dei brevi  periodi di occupazione, intercalati a periodi di abbandono. Una ipotesi possibile, ma ancora da dimostrare, è che nel sito si sostasse soprattutto nella stagione fredda, per far svernare il bestiame in una zona dal clima più mite rispetto all’altopiano.                                             Ritorno all'indice

L’età del bronzo (2300-925 a.C.)

Villaggi difesi, sepolture di individui emergenti, scambi con il mondo minoico e miceneo

L’età del bronzo è un’epoca  di  progresso tecnologico ed economico e di intensi scambi anche a lunga distanza. L’aumento progressivo della produzione di strumenti da lavoro di bronzo (asce, scalpelli, punteruoli, falci, seghe, lime, etc.) che arrivano a sostituire completamente quelli in pietra, potenzia le attività agricole e artigianali. L’esigenza di ottenere quantità sempre crescenti di metalli, soprattutto di rame e stagno (quest'ultimo reperibile solo in pochissime zone) di cui si compone la lega bronzea, stimola gli scambi tra aree molto lontane.

Questa età vede sorgere anche forti conflitti, e disparità stabili di ricchezza, prestigio, potere tra gruppi sociali all’interno delle comunità. Una posizione preminente viene acquisita dai guerrieri, che soprattutto dal Bronzo medio iniziano ad usare in modo sistematico armi di micidiale efficacia, come la spada e la lancia con punta metallica. Le famiglie e i clan degli individui più potenti accumulano ricchezza sotto forma di oggetti di bronzo e di bestiame. Per aumentare il loro prestigio esibiscono beni di lusso (come vasi metallici da banchetto, gioielli di bronzo o talvolta d’oro o argento, ornamenti di ambra proveniente dal Mar Baltico) che acquisiscono direttamente dagli artigiani o attraverso gli scambi.

La richiesta di armi e beni di prestigio contribuisce a incrementare ulteriormente le attività artigianali e i commerci. Dalla fine del XVII secolo a.C. si affacciano in Italia meridionale naviganti provenienti dal Mediterraneo orientale, che per ottenere a loro volta materie prime portano in cambio merci molto richieste, come vasi dipinti di tipo miceneo, ornamenti e amuleti, manufatti metallici, e certamente molti altri prodotti di cui non resta pressoché traccia (forse vesti pregiate, profumi, bevande inebrianti, droghe o medicinali).

La  pratica della guerra, sempre più diffusa e intensa, è causa di forti tensioni, e impone dei mutamenti nella scelta dei luoghi in cui abitare, e nel modo di organizzare gli insediamenti. I villaggi progressivamente abbandonano le posizioni facilmente accessibili, e tendono a spostarsi su colline e pianori dai pendii alti e molto ripidi, da cui era facile controllare il territorio e difendersi da attacchi nemici. Quando le possibilità di difendersi offerte dalla natura dei luoghi non erano sufficienti, venivano edificate  fortificazioni come palizzate, fossati, mura costruite in pietrame oppure in legno e terra.

Il promontorio del Poro si è rivelata negli ultimi vent'anni una delle più importanti aree per lo studio delle trasformazioni territoriali nella protostoria.

In oltre 40 luoghi sono state scoperte tracce di villaggi appartenenti nel loro insieme all’intero arco cronologico dell’età del bronzo. Quest'ultima si divide in quattro periodi:

  • antica età del bronzo (o Bronzo antico), dal XXIII a metà del XVII sec. a.C.

  • media età del bronzo (o Bronzo medio), da metà XVII a buona par te del XIV sec. a.C.

  • età del bronzo recente (o Bronzo recente) dalla fine del XIV agli inizi del XII sec. a.C.

  • età del  bronzo  finale  (o  Bronzo  finale),  fino  almeno  a metà X sec. a.C.

In alcuni dei siti, a causa di frane, di sbancamenti, o di arature profonde, sono stati raccolti numerosi frammenti  di ceramica.

Lo studio di questi e dei reperti provenienti dagli scavi permette oggi una conoscenza approfondita dell’evolversi delle facies archeologiche.

Le facies dell’antica età del bronzo sono  due: la  prima  e più antica  è  quella ‘di Zungri’, con vasi riccamente decorati da motivi a triangoli e crocette impresse mediante un punzone (fig. 9).

 

Fig. 9 - Frammenti con ornato a crocette impresse della prima fase del Bronzo antico (facies di Zungri), da Briatico Vecchio

In questo periodo gli insediamenti sono piuttosto  piccoli, e ancora situati in maggioranza sull’altopiano,  come  avveniva nell’età del rame. Un unico abitato è situato su un pianoro difendibile, quello di Briatico Vecchio, in cui vi sono tracce di occupazione continua fino al Bronzo medio.

Fig. 10 - Vaso a parete concava con alta ansa, della seconda fase del Bronzo antico (facies di Cessaniti), da Cessaniti Cave

La  seconda  facies,  quella ‘di Cessaniti’,  con  tazze  a parete concava dotate di alta  ansa  (fig. 10),  è  presente in numerosi insediamenti, che in par te sono ancora sull’altopiano, mentre in diversi altri casi iniziano ad occupare  nuove  posizioni  nella  zona  dei  terrazzi  marini e sulla costa.

Alcuni abitati scelgono pianori difendibili, ma la maggioranza è ancora in posizioni non difese.

Nella  media  età  del  bronzo le ceramiche sono molto simili a quelle della Sicilia (facies ‘di Rodì-Tindar i’, e poi ‘di Thapsos’), con cui vi erano strettissimi rapporti via mare. Tipici degli inizi di questo periodo sono i vasi detti "a fruttiera", con par te superiore molto aperta e piede troncoconico (fig. 11).

 Fig.11 - Vaso a fruttiera del Bronzo medio iniziale (facies di Rodì-Tindari, aspetto di Messina-Ricadi), da Briatico Vecchio

I defunti erano deposti in piccole tombe a grotticella scavate nella roccia, come quelle trovate a Bagnerìa  presso Santa Domenica di Ricadi, oppure seppelliti dentro grandi vasi. Tombe di questo tipo sono state  trovate a Tropea,  a Torre  Marrana, a Gallo di Briatico. In quest'ultimo sito nella tomba vi erano oggetti di  pregio in par te certamente provenienti dal Mediterraneo orientale, tra cui un cosiddetto sigillo talismanico di pietra dura fabbricato a Creta (fig. 12).

Fig. 12 - Sigillo talismanico in pietra dura  di produzione cretese, dalla tomba del Bronzo medio iniziale di Gallo di Briatico

I villaggi venivano edificati prevalentemente su pianori difesi, alcuni molto piccoli, altri estesi  alcuni ettari. Nella parte finale del periodo la maggior parte della popolazione si concentra in due pianori piuttosto grandi e ben difendibili: quelli di Tropea e di Briatico Vecchio.

Ciò indica che l’esigenza di difender si era diventata molto pressante. In effetti a partire dal XIV secolo e soprattutto nei decenni intorno al 1300 a.C. si inaugura una fase di forte instabilità. Molti indizi fanno pensare che con il passaggio all’età del bronzo recente nuove comunità provenienti dalla penisola italiana abbiano occupato con la forza le isole  Eolie, la Calabria meridionale e parte della Sicilia, portando la nuova facies archeologica denominata ‘subappenninica’ (con  ceramiche prive di decorazione ed anse conformate a cilindro, a corna di vario tipo, a papera, etc.). Secondo  Luigi Bernabò  Brea  si  tratta  degli antenati dei popoli  che  più  tardi sarebbero stati chiamati Ausoni (in Calabria) e Siculi (in Sicilia).

Gli abitati conosciuti dell’età del bronzo recente nel promontorio di Tropea  sono dieci e forse più. In parte sono situati nella fertile zona dell’altopiano, in parte si dispongono su pianori difesi della zona dei terrazzi, come Mesiano Vecchio (fig. 13) e Pirara, in par te infine vanno a  occupare siti costieri con possibilità di approdo, per inserir si nei commerci marittimi.

Lo scavo praticato nel 1994 nel sito costiero su promontorio di Punta di Zambrone ha per messo di ritrovare par te della fortificazione che difendeva il villaggio. Questa era costituita da un muro in pietrame e da un fossato, al cui interno sono state trovate molte ceramiche locali del Bronzo recente, e anche diversi frammenti di vasi dipinti di tipo miceneo (che ancora non è certo se siano stati importati o fabbricati in Calabria da artigiani egei).

Nell’età del bronzo finale si assiste a un nuovo brusco calo del numero degli abitati.

Sopravvivono con certezza solo quelli di Tropea e Mesiano Vecchio, e probabilmente sorge un nuovo sito a Crista di Zungri. In base a qualche indizio per ora isolato non si può inoltre escludere che inizino le prime sepolture a Torre Galli. La facies archeologica è quella ‘protovillanoviana’, e i ritrovamenti  più caratteristici sono costituiti dalle sepolture a incinerazione entro urna di terracotta scoperte in vari punti del centro abitato attuale di Tropea.

 

Fig. 13 – Veduta del piccolo pianoro difendibile di Mesiano Vecchio, sede di un abitato dell’età del bronzo recente e finale, della prima età del ferro, e del VII-VI secolo a.C.

 

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La prima età del ferro (925-725 a.C.)

L’abitato dominante e la grande necropoli di Torre Galli: comunità guerriere, crescenti differenziazioni sociali ed economiche, commerci con l’Oriente

Nei due secoli circa della prima età del ferro avvengono grandi trasformazioni.

È questo l’arco di tempo in cui si formano i maggiori popoli dell’Italia antica, e anche quasi tutte le principali città. Nel territorio degli etruschi (Emilia Romagna, Toscana, Alto Lazio e Campania) già dall’inizio del periodo la popolazione si concentra in enormi insediamenti, spesso estesi molto più di cento ettari, che di lì a breve diverranno importanti centri urbani (Capua, Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, Chiusi, etc.).

Con l’eccezione di Roma e forse di Gabii, che sono anch’essi molto grandi, hanno invece dimensioni un po’ inferiori ai cinquanta ettari i centri dell’area a sud del Tevere, da cui si sviluppano le città latine.

In Calabria i villaggi restano invece in molti casi di dimensioni contenute, simili a quelle dell’età del bronzo, cioè di norma non superiori ai 10-15 ettari. Con la prima età del ferro si verifica però anche qui la nascita di alcuni nuovi insediamenti su pianori piuttosto grandi, dai 20 ettari di Torre Galli ai 46 di Ianchina presso Locri.

La Calabria appare d’altra parte come una delle zone in cui  più precocemente si manifestano importanti fenomeni di cambiamento che investono tutte le società italiane della prima età del ferro. Tra questi si possono citare: la graduale adozione di manufatti in  ferro, la diffusione dell’armamento e quindi del ruolo di guerriero a tutti i maschi della comunità, l’emergere di una organizzazione per famiglie che si armano autonomamente e probabilmente  posseggono la terra, l’avvio di nuovi rapporti marittimi con il Mediterraneo orientale, dopo una interruzione almeno parziale avvenuta nell’età del Bronzo finale in seguito al crollo della civiltà micenea.

Questi fenomeni sono ricostruibili in buona par te attraverso lo studio dei manufatti deposti nelle sepolture. Lo scavo più significativo per questo genere di studi è ancora oggi quello condotto da Paolo Orsi a Torre Galli.

Paolo Orsi negli anni1922-23 su una superficie di circa mezzo ettaro scavò a Torre Galli all’incirca 280 tombe degli inizi della prima età del ferro, quasi tutte del tipo a fossa, in genere con un solo individuo deposto disteso (vedi fig. 4).

Fig. 14 - Torre Galli, schiniere di bronzo della tomba 86

Le fosse, spesso rivestite di pietrame, contenevano insieme al defunto (di cui solo raramente si conservavano le ossa, a causa della corrosività del terreno) diversi oggetti, che nell’insieme compongono il cosiddetto corredo funerario. Molto comune è la presenza di vasi, di norma in numero da due a quattro, e anche di una o  più ‘fibule’, ovvero spille per chiudere le vesti. Con la maggioranza dei maschi, anche di età molto giovane, era deposta una punta di  lancia di bronzo o talvolta di ferro (dell’asta lignea della lancia rimaneva solo qualche frammento, all’interno dell’innesto nella punta metallica). Il ruolo dei guerrieri più impor tanti era sottolineato dalla presenza di una seconda lancia, e in tredici casi anche di una corta spada (quasi sempre di ferro) contenuta entro un fodero di lamina di bronzo riccamente decorato. La spada era un simbolo di prestigio, probabilmente esclusivo dei capi delle famiglie. A solo cinque di questi guerrieri eminenti era riservata inoltre la deposizione nella tomba di uno schiniere di bronzo (fig. 14).

Ancora più forti erano le differenze nell’ambito delle tombe femminili, che contenevano vasi, fibule e spesso ornamenti vari, oltre a utensili per la filatura e tessitura. I corredi più comuni contenevano qualche vaso, una o due fibule e una fusaiola (un oggetto più o meno sferoidale di terracotta attraversato da un foro, che si inseriva nel fuso per facilitarne la rotazione durante la filatura). Un numero limitato di donne aveva invece con sé nella sepoltura varie fibule, una collana di ambra e altri ornamenti di bronzo o talvolta d’oro, un coltello di bronzo, rocchetti di terracotta per avvolgere fili di lana o lino, e a volte anche una coppa di bronzo usata probabilmente durante cerimonie rituali.

Non è certo casuale il fatto che queste tombe femminili più ricche erano concentrate in una ben definita zona della necropoli. Ciò indica che all’interno della comunità vi erano avanzate differenze di ricchezza e prestigio sociale.

In alcune sepolture femminili vi erano anche amuleti a forma di scarabeo di produzione egiziana (fig. 15) e probabilmente fenicia, che rappresentano le più antiche importazioni orientali della prima età del ferro in Italia.

Fig. 15 Torre Galli, scarabeo egiziano della tomba femminile n.67, con iscrizione geroglifica, il cui senso è:‘Possa durare, possa la tua discendenza riprodursi’.

Nel corso degli ultimi decenni le arature hanno spesso intaccato le sepolture più superficiali della necropoli. L’Associazione Paolo Orsi ha  condotto una costante attività di controllo  e  raccolta dei reperti affioranti, registrandone su una pianta l’esatta posizione. Ciò ha consentito di individuare gli esatti limiti della necropoli, che era molto più ampia dell’area scavata da Orsi, e anche di definirne meglio la durata il tuo nome cronologica, che non si limitava alla fase più antica della prima età del ferro. Altre tombe della prima età del ferro sono state individuate nella cava in loc. Vigne (o San Sebastiano) e Petto dell’Arena.

Le ricerche praticate nell’abitato sembrano dimostrare  che nella prima età del ferro esso occupava solo una parte limitata del pianoro. In base a questo fatto, e all’estensione della necropoli, si può stimare che gli abitanti del villaggio dovessero aggirar si tra le quattrocento e le seicento unità.

Per ora negli scavi, per altro piuttosto limitati, non sono stati trovati resti di case della  prima età del ferro, ma nel settore centrale dell’insediamento è stata individuata par te di una strada accuratamente pavimentata con ciottoli, adatta per il transito dei carri.

Il villaggio di Torre Galli, dalla sua posizione al centro del promontorio – che consentiva anche un’ampia visuale sul mare – doveva controllare un territorio piuttosto grande, ricco di risorse diverse. Ai margini della sua zona di influenza si ponevano due insediamenti che da esso probabilmente in qualche misura dipendevano: Mesiano Vecchio, situato a 6 km verso est, e Tropea, posta 5 km a nordovest sul mare.                                                      Ritorno all'indice

La prima età greco-coloniale (fine VIII-VI sec. a.C.).

Le comunità indigene locali tra sopravvivenza e declino sotto la pressione della città greca di Ipponio

Nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. gruppi di naviganti provenienti dall’isola greca dell’Eubea fondano due città nell’area dello Stretto a Reggio e a Zancle (Messina), e di qui successivamente a Metauros (Gioia Tauro).

Lungo la costa ionica della Calabria vengono impiantate da altri gruppi di coloni le città di Sibari, Crotone, Locri. Quest'ultima nell’avanzato VII secolo a.C. avvia una politica di espansione verso il Tirreno, fondando due ‘subcolonie’ nei pressi del promontorio del Poro: Medma (Rosarno) e Ipponio (Vibo Valentia).

Le colonie greche, per poter essere impiantate, e ancor più per poter espandersi, dovettero entrare in rapporto e spesso in conflitto con i gruppi indigeni. Ma quali erano i nomi con cui le popolazioni locali erano chiamate?

I popoli autoctoni, stanziati in Calabria già prima dell’arrivo dei coloni greci, nei racconti tramandati dagli storici antichi erano designati come Enotri, gravitanti per lo più nella parte centro - settentrionale della regione e sul versante ionico, o Ausoni, con riferimento soprattutto al versante tirrenico, o Itali, nella parte meridionale della Calabria, a sud dell’istmo tra i golfi di Squillace e Sant’Eufemia. Nel caso del territorio di Locri viene nominata anche la presenza di Siculi, popolo che gli storici antichi ritenevano provenisse dalla penisola italiana, prima di stanziarsi nella Sicilia, che da essi avrebbe preso il nome. Si tratta di popoli che dovevano parlare lingue perlopiù della famiglia indoeuropea, affini a quelle dei popoli italici.

Nel corso dei secoli le città greche assunsero progressivamente il controllo dell’intera Calabria, spesso imponendosi con la forza sulle comunità indigene, le quali in molti casi sono state asservite o annientate, altre volte esercitando forme di dominio politico indiretto e di egemonia culturale.

Uno dei centri indigeni che è riuscito a sopravvivere, e anche ad avere un discreto sviluppo, fino al VI secolo a.C., è quello di Torre Galli.

Nella necropoli Paolo Orsi rinvenne, frammiste a quelle della prima età del ferro, una cinquantina di tombe databili al VI e in piccola parte anche al VII secolo a.C. Alcune sepolture erano a fossa, altre a cremazione entro urna, altre erano probabili sepolture di bambini deposti entro vasi di terracotta di forma ovoide (detti “vasi a bombarda” da Orsi) (fig. 16).

Fig.16  - Grande Olla (“vaso a bombarda di Orsi”) del VII-VI secolo a.C., recuperata a Torre Galli dall’Associazione

Altre tombe del VI secolo a.C. furono salvate dall’avanzare di Paolo Orsi una cava in loc. Vigne da membri dell’Associazione Paolo Orsi.

Gli scavi condotti in più punti dell’abitato negli anni ’70 e ’80 del ’900 hanno dimostrato che in questo periodo l’intero pianoro era occupato da abitazioni i cui muri perimetrali avevano un basamento in pietrame a secco, mentre l’alzato era probabilmente in mattoni crudi (che forse erano simili alle ‘breste’ utilizzate fino a poco tempo fa). Buona par te di queste case doveva avere un tetto in materiale vegetale, e non in tegole come invece era la norma nelle città greche.

È importante sottolineare che in alcune tombe maschili del VI secolo a.C. sono presenti armi, come punte di lancia in ferro. Essere sepolto con le armi era prerogativa degli uomini liberi, e ciò significa che gli abitanti di Torre Galli avevano mantenuto una certa autonomia rispetto alla vicina città di Ipponio (anche se certamente l’influenza politica, economica e culturale di quest’ultima doveva farsi sentire).

Le ricerche archeologiche nel territorio hanno permesso di localizzare altri villaggi dello stesso periodo, situati in genere in luoghi già occupati durante la protostoria.

Reperti di ceramiche del VI secolo a.C. simili a quelle di Torre Galli sono stati trovati a Pirara  (Spilinga), Mancipa (Cessaniti) e Mesiano Vecchio (Filandari). In quest’ultimo sito vi era anche abbondante ceramica dipinta del VII secolo a.C.

Sia Torre Galli che gli altri abitati legati al sistema territoriale indigeno cessano la loro esistenza con il V secolo a.C., periodo durante il quale la vicina città greca di Ipponio dovette acquisire il controllo diretto di tutto l’altopiano del Poro.                                            Ritorno all'indice

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