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 Pasquale Restuccia   Pittore

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Presentazione dell’Opera

Pasquale Restuccia per Rombiolo: Pittura e progettualità.

Curriculum dell’artista

Estratti da articoli di stampa sull’artista

Articoli di stampa locale relativi all’evento artistico di Rombiolo

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"Gesti Della Memoria"

Visita nell’aula consiliare di

Rombiolo (VV)

a cura di Francesco Fiamingo

Rombiolo 05-10-2009 - Durante una visita al palazzo municipale di Rombiolo, il mio sguardo è stato catturato da una suggestiva Opera d’arte disposta nella Sala Consiliare. Si tratta di un quadro pittorico, olio su tela cm 340 x 260, realizzato dall’artista rombiolese Pasquale Restuccia, nel Febbraio del 2008, su commissione dell’Amministrazione Comunale.

L’Opera, come del resto indica il titolo, rievoca immagini di vita vissuta, oggi scomparsi,ma ancora capaci di trasportarci in quell’atmosfera, laboriosa e pacata, che traspare nel lavoro dei contadini e nei mestieri tradizionali locali. Ho ricevuto le dovute informazioni sull’Opera, attraverso il responsabile dell’area amministrativa Rag. Michele Cannatà e i consiglieri Annunciato Larosa e Nazzareno Navarra. In considerazione dell’amore che l’artista esprime verso la sua terra ritengo opportuno proporre l’Opera  all’attenzione dei visitatori del sito Poro.it

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Presentazione

Catalogo con le fasi di realizzazione dell’Opera con il patrocinio di:

- COMUNE di ROMBIOLO

- PROVINCIA di VIBO VALENTIA

- REGIONE CALABRIA

"Ringrazio la comunità che mi ha consegnato queste immagini e la giunta comunale, che mi ha consentito di restituirle alla memoria collettiva."

 Pasquale Restuccia

a mia madre e alla memoria di mio padre

Il Sindaco di Rombiolo

"Come Sindaco di Rombiolo mi sento particolarmente lieto di vedere realizzato questo catalogo che rappresenta un lavoro che tutti abbiamo voluto quale omaggio alla nostra comunità.

Si tratta di un lavoro facente parte di un progetto, che è quello di fregiare l’aula consiliare con delle tele che raccontano in modo visivo il passato storico culturale della nostra comunità.

Rombiolo come tutti i paesi della Calabria hanno tanta storia da raccontare e sicuramente non bastano pochi o tante tele; non riuscirebbero comunque ad esplorarla in ogni suo aspetto, ma la pittura ha il pregio di evocarla ! Sono particolarmente lieto di aver dato l’incarico al Maestro Pasquale Restuccia di realizzare la tela nel momento in cui ha proposto all’Amministrazione il bozzetto dell’Opera. Pur conoscendolo come pittore non immaginavo che fosse dotato di una particolare genialità.

Il riscontro nella costruzione dell’Opera del Maestro che tiene conto degli equilibri che la pittura deve osservare, infatti anche se la interpretazione è affidata quasi elusivamente alla figura, essa segue linee del senso prospettico dell’intero impianto costruttivo che l’accoglie, del valore tonale della luce e dell’insieme volumetrico.

In tutto questo, il Maestro riesce dando all’opera un’immediata lettura. Difatti se ne colgono gli elementi attinenti all’oggetto: la terra e tutto ciò che essa può dare, lo scuotitore di olive, il pastore nell’atto di fare il formaggio, la giovane filatrice di lana, una donna che ha appena finito di tessere una stoffa, con in primissimo piano un arcaico San Michele che affronta un singolare demonio finemente ricamato, dei bimbi che giocano sullo sfondo di un paesaggio che richiama alla memoria il passato.

L’immagine ci consegna nel suo insieme un piacevole momento di riflessione.”

Mario Ferraro

Sindaco del Comune di Rombiolo

L’assessore alla Cultura

"Questo catalogo è sicuramente uno dei momenti più significativi e gratificanti per l'impegno che l'assessorato alla Cultura ha profuso nel corso di questi anni per la rinascita culturale del nostro territorio.

Tante sono state le iniziative realizzate per creare momenti di confronto e riflessione su temi di attualità e per stimolare l'interesse dei cittadini tutti verso la cultura. Un impegno che ha coinvolto tutte le associazioni, per promuovere insieme un percorso di crescita umana ed etica della nostra comunità. Molte di queste iniziative rappresentano un punto fermo, e spero, di continuità, anche nei prossimi anni, come dimostra l'istituzionalizzazione del Premio letterario "II Telaio".

Con questo dipinto realizzato da Pasquale Restuccia, quel sogno di fregiare l'aula consiliare di tanti dipinti che raccontassero in modo visivo quello che è stato il nostro percorso storico e socio-culturale, rappresenta un primo ma importante momento per portare a compimento questo progetto.

Ringrazio il sindaco Mario Ferraro, gli assessori, i consiglieri tutti, che mi sono stati vicini e mi hanno dato fiducia in questo progetto.

Una iniziativa del genere rappresenta un evento che trova pochissimi precedenti nella storia municipale di Rombiolo. L'Amministrazione comunale, oltre alla responsabilità civica e sociale, in questo caso si assume l'alto compito di sostenere l'attività dei propri artisti, che in passato, con il cosiddetto mecenatismo, ha fatto grande la storia culturale e artistica dell'Italia.

Un ringraziamento va al maestro Pasquale Restuccia che con questa opera ha voluto omaggiare la nostra comunità. Egli ha mantenuto vivo il rapporto con la realtà e la storia di Rombiolo. Il suo modo di dipingere è molto elaborato, e non penso di esagerare definendo Restuccia un filosofo dell'arte.

Le sue opere sono meditate, studiate e poi rappresentate sulla tela. E anche il profano che si trova di fronte ad un suo dipinto resta affascinato ed è spinto a riflettere.

Questo quadro, emblematicamente intitolato "Gesti della memoria" esprime, con un linguaggio pittorico essenziale di immediata lettura e comprensione, tutto quello che ogni cittadino che ha vissuto a Rombiolo sente dentro, rievocando e trasfigurando simbolicamente una memoria collettiva.

Ognuno di noi quindi può riconoscersi e rispecchiarsi, come nei versi di Esiodo da "Le opere e i giorni". [... Semina nudo, nudo ara e nudo mieti, se vuoi a suo tempo compiere tutti i lavori di Demetra, affinché  tutto cresca a suo tempo, ne tu in seguito, indigente, debba mendicare, per le case altrui, senza nulla ottenere... ], che sembrano riecheggiare attraverso le scene del dipinto.”

Larosa Annunciato

Delegato alla Cultura Comune di Rombiolo

Bozzetti "Gesti della Memoria"

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Tav. XVI  - Studio – chiaro/scuro, inchiostro acquerellato su carta, cm 49,7x34,3

Tav.  XVIII - Modelletto  Gesti della memoria, olio su cartone, cm 78x51,8

Gesti della Memoria, versione definitiva, olio su tela, cm 340x260

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Gesti della Memoria

PASQUALE RESTUCCIA PER ROMBIOLO: PITTURA E PROGETTUALITÀ

Nei nostri tempi il ventaglio degli strumenti atti a generare e sviluppare immagini si è enormemente dilatato, condizionando in larga misura il fluire della vita quotidiana. Ormai menzionare i mass media, la televisione, la comunicazione telematica, internet e quant’altro risulterebbe cosa del tutto ovvia e scontata, se non addirittura banale. Eppure tali mezzi agiscono sui rapporti sociali e articolano i termini della convivenza umana. I conseguenti vantaggi appaiono innegabili e quasi nessuno vorrebbe o potrebbe fare a meno delle comodità offerte dalle nuove tecnologie.

Per l’uomo moderno la capacità di propagare contenuti è di gran lunga più ampia che in passato. Tutto scorre. La fiction, la pubblicità, la cronaca, lo spettacolo, la mondanità e la vita politica si consumano davanti ai nostri occhi con estrema velocità, quasi nel tempo di uno schioccare di dita.

In un mondo siffatto quale spazio rimane per esprimere una tecnica tradizionale e del tutto manuale come la pittura ? Se questa viene intesa nel senso dello svago e del piacere dilettantistico i problemi non sussistono, perché sarà sempre possibile dipingere piuttosto che collezionare farfalle o giocare a carte per un autoreferenziale solitario. Però i problemi iniziano quando la pittura viene scelta come strumento privilegiato per sostenere un alto livello di comunicazione. In un contesto utilitaristico, come quello odierno, il problema risiede nel riconoscere la ragion d’essere e il senso compiuto del fare pittura.

Nei secoli passati essere pittore equivaleva a svolgere un mestiere, talvolta redditizio e tal’altra no, così come capitava per numerose altre professioni. In Italia, fino alla metà del Cinquecento, il pittore produceva quasi esclusivamente dietro specifica committenza, spesso adeguandosi in larga misura alle vincolanti condizioni del cliente. Solo a partire dalla seconda parte del XVI secolo si affacciò nella penisola l’uso - già in voga nei paesi fiamminghi – di commercializzare opere non espressamente commissionate. Tale mercato però rimase a lungo minoritario rispetto alla notevole produzione di manufatti, concepiti dietro puntuali istruzioni dei richiedenti. Solo tra XIX e XX secolo il mercato dell’arte si trasforma in maniera sostanziale, ridimensionando drasticamente il ruolo della committenza diretta e favorendo in misura sempre maggiore l’iniziativa del mercante d’arte.

Negli ultimi decenni le opere pittoriche e plastiche - così come anche altre manifestazioni dell’agire umano - hanno assunto il valore di banalissimi oggetti dal carattere squisitamente merceologico. Questa situazione spesso non ha solo compromesso lo standard qualitativo, ma ha anche permesso il dilagare di processi mistificatori. Così oggi qualsiasi cosa potrebbe essere spacciata per opera d’arte, senza alcuna reale possibilità di smentita. In sostanza è il mercato - nemmeno il sedicente artista - a decidere cosa può essere definito arte e ad assegnare il relativo collocamento nella scala dei valori pecuniari.

Il mercato può anche continuare a ragionare in siffatti termini, ma non deve avere la presunzione di stabilire con i propri strumenti il metro valutativo delle qualità operative individuali. Per ovviare agli squilibri odiernamente riscontrabili nel mondo della pittura sarebbe necessario tornare alle antiche e sane meccaniche di committenza, laddove visione del pittore e intrinseca esigenza del richiedente giungono a formulare un complessivo progetto culturale, magari condensato in poche immagini, in un unico supporto, in un solo spazio. Spesso la magia interna di tante testimonianze figurative del passato nasce dall’urgenza di un robusto programma d’intenti, formulato in modo congiunto dal committente, dall’artefice ed eventualmente da un mediatore competente nel campo della cultura umanistica. In definitiva un lavoro quasi di équipe, così come oggi si richiede nelle migliori strutture preposte alla ricerca scientifica.

L’accostamento non risulta improprio, perché in passato una qualsiasi impresa pittorica non era il frutto del capriccio personale dell’artefice. Gli affreschi e le pale d’altare venivano eseguite perché esisteva un committente disposto a finanziare i manufatti. Qualunque altra via era esclusa. Soltanto oggi nelle arti predomina il "ghiribizzo" individuale e l’autoreferenzialità assoluta, segnali di un malinteso senso della democrazia, avvertito non come partecipazione alla cosa pubblica, ma come irrefrenabile esigenza di autoaffermazione. Conseguenza di tale spinta individualista sono il caos, come anche la perdita di senso, di riferimenti e di valori misurabili.

Nel secolo scorso non sono mancati importanti contributi, tendenti a sostenere i principi delle tradizionali meccaniche di committenza. Basti pensare al fortunato libro di Martin Wackernagel, storico dell’arte svizzero, tradotto in Italia con il titolo: Il mondo degli artisti nel Rinascimento fiorentino. L’autore con il suo testo si proponeva di fornire un modello di mercato artistico, basato sull’attività delle botteghe e su un’ampia varietà di committenti, disposti ad acquisire manufatti di pregio. Wackernagel si era accorto dell’evidente distacco intercorso, nel suo tempo, tra artisti e pubblico, come anche dell’eccessiva e gratuita autonomia sovente manifestata nelle attività artistiche. Lo studioso non ebbe certo modo di cambiare il corso degli eventi, ma forse non immaginava lontanamente quale destino sarebbe toccato al mondo dell’arte durante l’intera seconda metà del Novecento.

Così perché dovremmo nei nostri anni accogliere il rivelarsi della pittura ? Per quale recondita ragione dovremmo misurarci con una tela dipinta ? Forse per ricevere un facile e banale colpo basso, in grado di solleticare le nostre più intime corde emotive ? Forse per identificarci in un ristretto gruppo di privilegiati, capaci di intendere al primo colpo d’occhio la muta materia pittorica ? O forse sarà necessario dare ragione ai tanti "contemporanei", che, in nome di un nomadismo globalizzato, reputano la pittura cosa desueta e in fin dei conti poco degna di essere tra le frecce nella faretra dell’artista.

Stando così la situazione finiremmo per convincerci dell’inutilità della pittura e francamente apparirà più appetibile un prodotto cinematografico di medio livello rispetto al desolante monologo dell’artista contemporaneo. Pubblico rumoroso da una parte e artisti invasati dall’altra: questa in breve la sconfortante prospettiva.

Urge quindi la ricomposizione di un circolo virtuoso, mosso da intenti comuni e da progetti condivisi, che non soddisfino esclusivamente le pulsioni dell’artefice, ma traducano nel medesimo tempo l’identità e le ferme consapevolezze della committenza. Tale circostanza acquisisce maggiore valore nel caso della commissione pubblica, perché la richiesta agisce in nome di valori e sensibilità collettive, nel segno di un radicamento nello spazio storico-culturale del territorio.

Oggi le committenze pubbliche nel campo della pittura sono piuttosto rare e comunque non rispondono a dinamiche di sistema, come avveniva in decenni passati. Ecco allora che l’incarico affidato dal comune di Rombiolo a Pasquale Restuccia, consistente nella realizzazione pittorica di una grande tela destinata alla sala consiliare del Palazzo Municipale, dimostra come sia ancora possibile conciliare la ragion d’essere della pittura e le legittime esigenze d’identità di una pur piccola comunità. Nocciolo della questione era, sin dal momento della commissione, quello di addensare in un’unica soluzione visiva la secolare cultura, fondata sul proficuo lavoro della terra e sull’appagante produzione manifatturiera.

La sfida che si imponeva al pittore non era cosa di poco conto. Si trattava di pervenire alla maggiore efficacia sul piano dell’immagine con la migliore sintesi possibile, senza banalizzare i termini in oggetto con una mera rappresentazione didascalica o prolissamente narrativa.

La tradizione offriva a profusione modelli sulle attività umane - basti pensare agli innumerevoli cicli medievali dedicati ai lavori dell’uomo nell’arco dei dodici mesi, come quelli plastici del battistero di Parma o della basilica di San Marco a Venezia – e soluzioni iconografiche di indubbio interesse, ma era opportuno approdare ad una proposta figurativa, capace di esprimere il remoto e congenito carattere della vocazione agricola in terra di Rombiolo.

Inoltre era necessario dispiegare le immagini su una vasta superficie, entrando in sintonia con la specificità morfologica del contenitore architettonico destinato ad ospitare la tela. Per la verità l’idea originale prevedeva un nucleo centrale da cui si sarebbe dispiegato un fregio superiore, con la funzione di sviluppare l’impianto decorativo lungo il perimetro dell’aula consiliare. Successivamente il progetto pittorico è stato limitato al solo pannello, da collocarsi sulla curvilinea parete alle spalle dei banchi di giunta. Nonostante tutto il fregio, inizialmente pensato, potrebbe ancora adeguatamente inserirsi e coerentemente completare sul piano distributivo quanto in effetti realizzato.

Ma attraverso quale percorso Pasquale Restuccia è giunto alla completa epifania del testo pittorico ? Ricordo bene i suoi primi studi, concepiti per identificare una struttura compositiva idonea, per trovare le adeguate direttrici di profondità spaziale e per conseguire la migliore distribuzione dei piani. Alcuni di quei segni, a matita o a penna su carta, in apparenza sembravano non avere alcun nesso con la necessaria risultanza di immagini, saldamente costituite e dominanti lo spazio senza alcun equivoco. Piuttosto suggerivano l’erronea impressione di veloci appunti non figurativi. Dietro a quelle scansioni geometrizzanti si giocava in realtà l’intera questione, relativa alla strutturale articolazione dell’opera. Il pittore però non seguiva un proprio esclusivo capriccio, non inventava nulla di nuovo senza aver prima fatto i conti con la tradizione, ovvero nel caso specifico con la storia secolare e più nobile della pittura.

Se i problemi di maggiore urgenza derivavano dalla necessità di dover affrontare grandi dimensioni, perché non studiare i grandi artefici del passato che si erano misurati più o meno con le stesse incognite ? Ecco allora la riflessione su Tintoretto e sulla sua Raccolta della manna nella veneziana chiesa di San Giorgio Maggiore. L’obiettivo era semplicemente quello di indagare l’interna meccanica, che consentì al Tintoretto di articolare spazi e scandire piani di profondità nel rispetto delle ampie superfici. Nulla di più. Non si trattava di copiare qualcosa o di trarre spunti puntuali in termini d’immagine. In realtà il pittore compiva un percorso consueto alle tradizioni dei grandi maestri di un tempo, caratterizzato dallo studio sistematico, in vista di una grande impresa figurativa.

Uno degli aspetti più accattivanti delle pittura di Pasquale Restuccia risiede proprio nella rigorosa progettualità, interna e preliminare ai dipinti concretizzati su tela. Il suo lavoro non costituisce mai l’emanazione semplice di un sentimento o di una condizione psichica. Niente di più estraneo alla sua metodica. Piuttosto il pittore segue un percorso lungamente meditato, in cui elaborazione culturale e attuazione manuale procedono parallele nel determinare modalità e finalità. Il piano viene predisposto e procede valutando le possibilità offerte dal sito a cui è destinata l’opera, le aspettative della committenza e del contesto locale, la radicata e multiforme cultura del luogo, la vocazione storica del territorio di pertinenza, le tradizioni devozionali autoctone – ragion d’essere di quel raffinato inserto, costituito dal ricamo ad intaglio evocante l’immagine di un arcaico San Michele Arcangelo, alle prese con un demone del tutto singolare – e le specifiche forme cultuali. Di suo il pittore inserisce l’alta padronanza dei mezzi tecnico-esecutivi e il proprio bagaglio interpretativo, che necessariamente deve fondare le basi su una solida e sostanziata visione del mondo.

Il progetto poi prevede un’articolata indagine, che dagli aspetti generali man mano scende ai particolari, per poi ricomporli nell’assieme. La generosa attenzione dell’artefice si è quindi rivolta all’elaborazione di singole figure o oggetti, utilizzando lo strumento conoscitivo del disegno, indispensabile per comprendere la reale natura di corpi ed elementi dislocati nello spazio. I primi studi generali mostravano l’individuazione di figure, colte in gesti e attitudini varie, quasi a voler suggerire una dinamica e una tensione interni. Poi tutto è stato regolato da fondanti scelte di impaginazione. Il lavoro dell’uomo e della donna viene inteso come valore eterno, sempre necessario. In poche parole senza tempo, o almeno fuori dallo scorrere della temporalità storica. I gesti stessi diventano immutabili e l’immagine deve palesare, quasi ostentando, la ritualità dell’agire. Da qui la soluzione iconica adottata dal pittore e l’apparente percezione di dinamica bloccata, che si coglie da un primo approccio del testo pittorico.

I personaggi dispiegati nei primi piani rinviano ad una umanità intesa come categoria soprastorica, o semmai quale memoria di una recondita età dell’oro, apportatrice delle più nobili consuetudini e delle più consone usanze, comuni all’uomo mediterraneo di tutti i tempi.

Quelle figure nude, pur nella diversità delle attitudini, richiamano alla mente celebri ignudi, collocati sui piani più distanti, riscontrabili in alcuni dipinti intrisi di cultura neoplatonica – basti pensare alla Madonna con il Bambino di Luca Signorelli della Galleria degli Uffizi a Firenze e al cosiddetto Tondo Doni michelangiolesco nel medesimo museo – dove la lontananza allude ad un’età remota e irraggiungibile.

Però nella grande tela di Pasquale Restuccia l’aureo tempo prende il sopravvento, si impone come soggetto ineludibile, occupa finanche il primo piano e relega l’uomo della storia – il corteo di personaggi in lontananza, che vuol rievocare le lotte contadine nel secondo dopoguerra – a spazi subalterni.

Il carattere iconico dell’opera si accompagna ad una palese sobrietà dei mezzi pittorici impiegati, con la conseguente consapevole rinuncia di qualsiasi esteriore impronta di sensualità nel costituire i corpi. Certamente a tale risultato avrà contribuito la conoscenza, negli anni maturata dall’artefice, della essenziale pittura di Puvis de Chavannes. Però solo attraverso la calibratura degli elementi strutturali, attivata con la prolungata indagine grafica, il pittore è pervenuto al maggiore equilibrio delle parti con il massimo della sobrietà formale possibile e accettabile.

A chi ha conosciuto in altre circostanze la pittura di Pasquale Restuccia potrebbe palesarsi un’apparente diversità nella risultanza pittorica, ma in realtà poco è cambiato rispetto alla produzione precedente – mi riferisco a dipinti allegorico mitologici, paesaggi e quant’altro – o comunque degli ultimi anni, se non forse una maggiore attenzione per l’intrinseca luminosità della materia pittorica, assecondando però una tendenza in continuo atto nella più recente stagione figurativa del pittore.

Per il resto, come ho già sostenuto in altra sede presentando la morfologica essenza di alcuni suoi paesaggi, il rinvio a una dimensione atemporale - connotata da immagini archetipe e significanti – costituisce un dato peculiare nell’opera di Restuccia.

Quel che invece si rivela in tutta la sua consistenza è la dinamica progettuale, evidenziata in dettaglio nel presente catalogo. Si impone a questo punto una dovuta riflessione sul ruolo che il progetto deve assumere nel campo della prassi figurativa. Viene da pensare, di fronte all’ampia superficie dispiegata, alle titaniche imprese compiute da artisti del passato. Basti ricordare la celeberrima Zattera della Medusa di Théodore Gericault, opera preceduta ed accompagnata da una moltitudine di studi di piccolo formato, ora utili per ricostruire la genesi strutturale di una pietra miliare per la storia dell’arte europea. Il progetto oggi, come un tempo, deve saper veicolare tutte le istanze - precedentemente menzionate - espresse dalla committenza, dal contesto di appartenenza e dal medesimo artefice. L’opera finale costituisce il conseguente approdo di una lunga ricerca, tendente a risolvere con sempre maggiore puntualità problemi di ordine formale, iconografico e comunicativo.

Nel caso di Pasquale Restuccia l’obiettivo essenziale era rappresentato dalla realizzazione di una grande superficie dipinta, del tutto autosufficiente nel soddisfare le specifiche esigenze di immagine della comunità di Rombiolo. Il lavoro del pittore andava però preservato nella sua interezza e complessità, recuperando gli strumenti che avevano consentito un’elaborazione tutt’altro che semplice.

Pur nel breve tempo di un’esposizione era necessario garantire alla pubblica fruizione la conoscenza dei percorsi ideativi ed esecutivi. Così è nata l’idea di presentare la vasta tela attraverso un catalogo, contenente in sequenza schizzi, studi e disegni utilizzati in fase realizzativa. Diviene così possibile risalire dal manufatto compiuto all’idea di base, attraverso le non poche alterazioni, le modifiche o i ripensamenti. Il progetto complessivo svela, in tal modo, tutti i suoi retroscena e rivela l’autentica identità culturale dell’artefice.

In un certo senso la grande tela elaborata da Pasquale Restuccia potrebbe costituire un significativo precedente. Difatti negli ultimi tempi le esposizioni d’arte – se così è necessario denominarle per intendersi – soffrono spesso di una certa mania di grandezza, laddove ambiziosi e pretenziosi allestimenti, ingigantiti oltre il limite tollerabile, costituiscono causa di fraintendimenti e di confusione complessiva. L’idea di concentrare l’evento espositivo su un unico percorso ideativo, sfociante in una sola ma articolata risultanza figurativa, potrebbe rappresentare l’occasione per formulare progetti chiari, efficaci e di più decisivo impatto. La qualità della proposta soppianterebbe così le disorientanti soluzioni in termini quantitativi, spesso esibite nell’ambito di manifestazioni settoriali dal carattere pubblico o meno.

L’opera in questione si pone senz’altro come un tassello estremamente importante nella carriera pittorica di Pasquale Restuccia. Non mancano al suo attivo realizzazioni su vasta scala, ma nulla di precedente appare lontanamente paragonabile alla volontà, espressa nell’attuale occasione, di pervenire alla sostanziale formulazione di un’immagine-icona, che possa rappresentare da qui ai prossimi tempi la specificità della comunità di Rombiolo, in un terreno dove storia, cultura e tradizione si fondono nella dimensione più consona al mito.

David Frapiccini

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Curriculum

Pasquale Restuccia nasce a Rombiolo (provincia di Vibo Valentia) nel 1956.

1977 si diploma in pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Catanzaro.

1977 collettiva Opere scelte, Palazzo della Provincia, Catanzaro.

1977 si trasferisce a Roma dove segue il corso di laurea in Filosofia.

1984 inizia l'attività di insegnante; attualmente è docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico Statale “Giorgio De Chirico” di Roma.

1987 installazione I colori di Majakowskij, presso "Venice L.A.", Roma.

1988 installazione Natura viva, a cura di Luciano Parisi, con la partecipazione di Vladimir Luxuria, presso “Venice L.A.”, Roma.

1989 installazione 200 anni dall' 89. La libertà di E. Delacroix, presso " Venice L.A.", Roma.

1990 cura un laboratorio di pittura, scultura e manipolazione di materiali presso l’Istituto Opera Don Orione, Roma.

1993 personale presso ed. Art. Italia, Roma.

1997 personale Ombre,a cura di Lorenzo Canova, Galleria d’Arte Lazzari, Roma.

1997 collettiva Arte facto, a cura di Roberta Perfetti, Palazzo delle Esposizioni, Roma.

1997/99 collettive presso la Galleria d’Arte Lazzari. Roma.

1998 in catalogo A.R.G.A.M. 1998 Primaverile di Roma.

1998 collettiva presso la Galleria d’Arte Accademia Cattani, Bologna.

1999 presente nello stand della Galleria d’Arte Accademia Cattani di Bologna, con segnalazione nel Catalogo Arte Fiera ‘99, Bologna.

1999 partenariato con il gruppo MIC di Roma.

2002 partecipa in equipe al restauro pittorico di quattro cappelle nella Chiesa Parrocchiale di Licenza in provincia di Roma.

2005 collettiva Architetture della Memoria, studio MIC, Roma.

2005 personale Luoghi della pittura, a cura di David Frapiccini, Libreria Il Corsaro, Roma.

2006 personale Luoghi della pittura, a cura di David Frapiccini,Galleria Ferro di Cavallo, Roma.

2006 collettiva Castello Ruffo, Nicotera (V.V).

2006 personale Paesaggi: Luce e morfologia, a cura di David Frapiccini, Sala Consiliare del Municipio, Rombiolo (V.V).

2007 collettiva 13x17 - www.padiglioneitalia - promossa da Philippe Daverio, a cura di Elena Agudio e Roberta Gaito, studio MIC – Roma.

2007/08 - Gesti della Memoria, sala consiliare del Palazzo Comunale di Rombiolo (Vibo Valentia).

2009 collettiva “Arte in Cattedra 1998-2008” quarantesimo anniversario dell’Istituto Statale d’Arte e Liceo Artistico Roma 2 a cura di Andrea Bonavoglia, Complesso Monumentale del San Michele a Ripa, Roma.

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Estratti da articoli di stampa sull’artista

[...] Mentre fino a venti anni l'artista godeva quasi esclusivamente di un dono naturale, appena educato e contenersi e ad espandersi nella felice interpretazione della realtà, in specie per una sorgiva attitudine grafica con risultati di indubbia concretezza e sicurezza figurativa, col progredire degli studi umanistici Restuccia ha lasciato ogni virtù manuale in omaggio ad una meditazione che si potrebbe ascrivere nell’area post moderna; ma già questa area così larga, mi si permetta il bisticcio, sta stretta al pittore.

Intanto ognun vede subito che "l'anacronismo" delle visioni le cui fonti provengono da molto lontano e da svariati fiumi, i manieristi del Cinquecento, Böcklin, Sartorio, i surrealisti, non è per nulla un alibi per il gioco, una polemica per bollare l’attualità di convenzionalismo... D’altra parte non si potrebbe dire che il pittore circondi o vesta di scene mitologiche una sua autobiografia se sovente appare nei quadri in primo piano magari un po’ sublimato in un laico Gesù Cristo, il viso smunto, la chioma corvina, fluente, gli occhi bassi, e par quasi che pensi l’umanità o  il sogno o la parabola circostante.

Più chiaramente ogni scena "classica" serve all’artista a rappresentare qualcosa come sul palcoscenico di un teatro: più che una confessione per interposti personaggi del Museo, Restuccia si impegna a una sorta di spettacolo. Ma nei gesti dei suoi nudi, nei suoi controluce, negli anfratti di favola e leggenda, nel mistero con cui il suo pennello riesce a carezzare la pelle di una donna, nulla concede al gioco, anzi all'effetto. Più cerca di spaziare nella composizione vestita di simboli, sorretta da ali d’angeli, centauri liberatori, ispiratrici materne, ninfe boschecce la cui nudità sembra scandirsi al di sopra del desiderio, più si manifesta trepidante, come un neofita all’antico rito dell’immaginario, come un mortale nel  mondo degli Dei.

Le sue acerbità, opacità di tessuto cromatico, la difficoltà con la quale ogni volta mi vien fatto di penetrare i suoi lavori eseguiti lentamente, quasi cupamente, presentano un loro fascino. Degli artisti "anacronisti" di mia conoscenza è senza dubbio il più singolare, il meno... manierista. [...]

Marcello Venturoli, La pittura di Restuccia un singolare post moderno, Roma 1996.

 [...] Restuccia esegue le sue opere con una tecnica degna di un pittore antico, con la meticolosa raffinatezza e la scrupolosa attenzione di chi vuole rappresentare la lucida esattezza e l'allucinato nitore dell'incubo. Per dare forma alle sue immagini e alle sue visioni, Restuccia riscopre iconografie medievali e rinascimentali, simboli archetipi e miti dimenticati, trovando segrete affinità con le opere di artisti come Böcklin e Sebastiano del Piombo, Klinger e Dürer, Burne Jones e Poussin.

I dipinti di Restuccia appaiono come la rappresentazione di un viaggio notturno, di uno sprofondamento nel mondo sotterraneo, dove sopravvivono le divinità ctonie che popolano e agitano i sogni.

Le vegetazioni dei suoi dipinti avvolgono figure femminili, simboli arcaici della Terra e della Notte; i boschi e le foreste, le radure e le piante, che si aprono sui centauri e sui fauni, si stringono attorno a Cibele e a Proserpina come inviolabili dedali d’ombra.

In quei meandri tenebrosi la Sfinge incontra Edipo già cieco; la regina dell'Ombra, la Signora dei Melograni, ci appare per comunicarci oscuri presagi.

Le ombre che attraversano le selve sembrano lentamente costruire dei santuari invisibili di oracoli ignoti, scavare degli antri segreti dove Sibille sfuggenti donano agli uomini una nuova chiaroveggenza. [...]

Lorenzo Canova, in Ombre, 1997.

L’arte ha profonde radici nella storia e come una pianta rigogliosa ma sensibile ha bisogno di cure amorevoli e continue: questo sembra essere il messaggio che promana. [...]

Restuccia propone una pittura inquietante, densa di significati allegorici e innervata da una profonda malinconia.

Gabriele Simongini, Gallerie, in «Il Tempo», 3 dicembre 1997, p. 30.

 [...] La pittura e la scultura richiedono la capacità di domare, asservire e riabilitare le immagini, mentre il mondo attuale sembra volerne essere sopraffatto.

Ed è a questo punto che si avverte più intensamente la necessità chiarificatrice dell’atto creativo. Ma Dio creò l’uomo dalla terra, come a dire che l’artista non può creare del suo senza la materia. Si torna quindi a quella materia che altri hanno scambiato con l'essenza stessa dell'arte. Invece essa è strumento in mano al pittore o allo scultore e deve essere opportunamente ammansita, resa docile di fronte alle aspettative dell’artefice.

Da qui scaturisce nuovamente il senso dell'atto fabrile, riconosciuto come del tutto necessario nei "massimi sistemi" della pittura. E di un pittore ora si vuole parlare, di uno tra i pochi ancora convinto che all'interno delle quattro mura del proprio studio si possa avviare un sempre nuovo percorso alchemico. La sublimazione avviene con gli strumenti tradizionali del pittore: la materia innanzitutto. La trasmutazione ha luogo nei termini dell'immagine, che su tale sentiero perde i connotati di frammento o cronaca del reale. Si perviene quindi a qualcosa di completamente opposto rispetto all'immagine intesa come "documento" o "oggetto" del quotidiano fluire.

L'immagine si concretizza per un sovrapporsi di concause, tanto che la dinamica complessiva di tale processo risulta solo parzialmente rilevabile e rivelabile. Ma pur qualcosa sulla natura dell'immagine può essere detto. Essa non testimonia un episodio, ma ha invece profonde radici nella cultura e nella coscienza storica individuale e collettiva. Questo perché la crescita e la maturazione di ciascun individuo avviene necessariamente all'interno del fitto tessuto connettivo delle relazioni sociali, o, per dirla più banalmente, dei rapporti con gli altri individui. L'artefice però è in grado di rivelare i meccanismi ed è il caso di Pasquale Restuccia. [...]

[...] Opere intese come tracce testimonianti, nella loro improvvisa apparizione, l'adesione e, forse ancora di più, l'appartenenza a una civiltà secolare o millenaria e sempre presente, anche quando posta all'ombra della modernità.

Restuccia non è un pittore ultraconservatore e al di fuori del suo tempo, ma piuttosto appare consapevole del collegamento, quasi  genetico, esistente con l'alfabeto di base espresso dalla civiltà culturale di provenienza. Gli uomini, le città, i popoli, i momenti della storia cambiano, ma comune e attivo rimane il nocciolo vitale di una civiltà, tanto da poter persino interagire con altre realtà.

Nel caso del nostro contesto storico-geografico il nocciolo in questione risiede senza alcun dubbio nella civiltà classica, in quel mondo che ha caratterizzato non solo la morfologia dell’antica romanità, ma anche la bimillenaria vicenda del Cristianesimo o gli esemplari avvicendamenti delle rinascenze, Rinascimento quattro-cinquecentesco incluso.

I parametri e gli elementi base della civiltà classico-occidentale sono costantemente presenti nel lavoro di Pasquale Restuccia, dove spesso il mito, l'allegoria e la metafora traducono i termini di un pensiero che ha sensibili diramazioni dal tronco della classicità. [...]

David Frapiccini, Le evocazioni classiche di Pasquale Restuccia, 2005.

[...] catturate in giornate di luce chiara. Solide strutture incorniciate da eleganti fronde fuori del tempo e chiome lussureggianti, rigogliose degli alberi. Visioni di una Roma che confermano la sua vocazione per la tradizione classica, assecondata dall'uso di una tecnica che descrive con chiarezza prospettica e solidità architettonica i "Luoghi della sua pittura" e della sua immaginazione.

Fabiana Mendia, Le giornate di luce chiara nei pastelli di Restuccia in, «Il Messaggero», 8 marzo 2006, p. 46.

[...] Di certo il pittore ha colto quei connotati dall'intima rimembranza di ambienti della terra calabrese a lui familiari. Però Restuccia non si è limitato a una mera trasposizione iconografica di paesaggi pur tanto cari, anzi di essi ha colto gli elementi archetipi, come per individuare l’aspetto primordiale di un universo dinamico e sempre in pulsione.

Un qualcosa di imponderabile permane sempre, come per ribadire l'assoluta necessità di aspirare consapevolmente a una remota saggezza del mondo, secondo un'attitudine del tutto umana. Ecco allora che in taluni casi la natura rievoca l'idea dell'antro, elemento inafferrabile connesso alla condizione arcaica dell'uomo, se non addirittura alla sua genesi nel grande progetto dell'esistenza. In sostanza si viene a concretizzare la morfologia di quel palcoscenico pietroso e talvolta arido, destinato ad accogliere in numerose altre occasioni gli uomini, le divinità, i centauri le classiche evocazioni architettoniche del mondo figurativo di Pasquale Restuccia. Attraverso questi paesaggi riconosciamo non tanto e non solo le origini calabresi di Restuccia, quanto piuttosto la genesi di una vocazione demiurgica e interpretativa, destinata verosimilmente a generare proprio a Rombiolo uno dei più alti risultati in tono epico.

David Frapiccini, Paesaggi: luce e morfologia, 2006.

[...] Essere pittore significa officiare una nuova creazione, dopo quella di Dio che ha creato dal nulla. Il pittore ha bisogno della materia a cui dare un soffio vitale; la tecnica allora diviene linguaggio, è stile che lo individua. Non segue le mode Restuccia, ma gli impulsi che lo scuotono, i soggetti che lo perseguitano, le acquisizioni culturali a lui connaturate.

E’ il mondo classico il suo mondo. Qui Restuccia ama sostare, evocando dimenticati miti, allegorie, metafore. Si inoltra tra verdi vegetazioni, fitti boschi, folte foreste, antri segreti con fauni e centauri. Gli appaiono sibille o Proserpina o Edipo. Fa rivivere così iconografie, simboli e archetipi medioevali e rinascimentali. [...]

Rocco Cambareri, Il Classicismo nella pittura di Pasquale Restuccia, in «Calabria ora», 29 ottobre 2006, p. 25.

Paesaggi dell'anima. Un ritorno alla memoria attraverso l'energia arcana dei luoghi. Un vissuto rappresentato con il linguaggio della pittura. Sono viaggi in un mondo trasfigurato dal tempo in cui è possibile leggere l'archetipo. Sono i luoghi che Pasquale Restuccia porta dentro con una sorta di alone mitico dipinti a cavallo con il nuovo millennio e che appartengono ad una storia antica e che identificano la rinascita, o meglio, l'origine del suo mondo, quello che il pittore di Rombiolo, con la sua creatività, ha tradotto con colori che hanno la stessa vibrazione della luce, della natura. [...]

Nicola Rombolà, I paesaggi dell’'anima nei dipinti di Restuccia, in «Gazzetta del Sud», 9 novembre 2006, p. 6.

[…] Per quanto riguarda Restuccia, nel corso dell’incontro è stato posto l’accento sul suo grande talento naturale, perfezionato nel corso del tempo da studi approfonditi e attraverso numerose esperienze artistiche che gli hanno fatto acquisire una competenza che lo avvicina ai grandi artisti di ogni tempo e gli permette di realizzare con grande autorevolezza dipinti figurativi pervasi da eleganti atmosfere classiche e da un’espressione tersa, elegante e personalissima, che ne fanno un singolare interprete del linguaggio artistico post-moderno.

Per realizzare il dipinto presentato a Rombiolo l’artista si è dovuto confrontare con tre difficoltà, che ha saputo risolvere in maniera brillantissima.

La prima era una difficoltà di carattere tecnico, legata alle grandi e inusuali dimensioni del quadro, che nella sua verticalità gli ha imposto di lavorare su una serie di piani complessi interagenti tra loro dal punto di vista espressivo e dialoganti sul piano del significato, prova magnificamente superata grazie ad un approfondito e lungo studio della scansione figurativa nella quale inserire il complesso mosaico figurativo dell’opera, ma anche grazie all’uso di una tavolozza di colori di grande rigore e suggestione.

Seconda difficoltà il contenuto: il titolo dell’opera è, infatti, ”Gesti della memoria” e sono esattamente questi che Restuccia ha messo nella sua opera: le gesta eterne dei contadini, degli artigiani, delle donne, i giochi dei bambini, il senso dei luoghi, la religiosità, la natura rigogliosa e anche alcuni passaggi storici che hanno segnato le popolazioni di questo paese del Poro sia recentemente che nel lontano passato. Da sottolineare a questo proposito che le grandi ed eleganti figure in primo piano sono tutte contrassegnate da una casta ignudità, che vuole testimoniare l’astoricità delle stesse, e da un atteggiamento delle singole figure, composto e classico che le avvicina all’archetipo che devono rappresentare, e questo immette nell’opera un che di metafisico che permette a Restuccia di superare anche la terza difficoltà, quella cioè di evitare ogni retorica e convenzionalità nella rappresentazione, cosa questa non facile, considerato anche l’ufficialità dell’opera e la sua collocazione.

Il risultato conseguito, che merita certamente un piccolo viaggio a Rombiolo per ammirarla con i propri occhi, è una grande pala d’altare laica, come quelle realizzate in passato dai maestri della pittura, che erano capaci di rappresentare non soltanto un’iconografia biblica o evangelica, ma anche l’autentico sentimento religioso popolare; allo stesso modo Restuccia ha reso la religiosità della memoria e della grandezza umile della storia dell’uomo.

Gilberto Floriani, Se l'arte si pone al servizio della collettività, in «Calabria ora», 29 Febbraio 2008, p. 36.

Pasquale Restuccia è pittore, e nella sua classicissima visione dell'arte il pittore è pittore del vero. Le cose esistono, ed esistono le forme, vive soprattutto nell'occhio dell'artista. Case, alberi, paesaggi, animali, uomini, ma anche miti e sogni sono dipinti da Restuccia secondo un modello realistico che si ricollega ai canoni rinascimentali, fatto di colore, di volume e di composizione.

Andrea Bonavoglia, "Arte in cattedra, 1998-2008", Gangemi 2009, p. 147

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Articoli stampa locale relativi all’evento artistico di Rombiolo

Pag. 24 " IL QUOTIDIANO" – Martedi 26 Febbraio 2008

Pag. 23 – "IL QUOTIDIANO" – Giovedi 21 Febbraio 2008

Articolo Calabria Ora

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Per ulteriori informazioni  sull’Artista Pasquale Restuccia consultare il sito Web

www.PasqualeRestuccia.com

Francesco Fiamingo

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