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 Comerconi   Comune di Nicotera

 Teatro San Nicola

Il Presepe 2008

Il Presepe 2007

Eventi a Comerconi e dintorni

Tre casettine dai tetti aguzzi,

un verde praticello,

un esiguo ruscello...

beh sì, Comerconi è più o meno così: come la Rio Bo di Aldo Palazzeschi. Salvo che le casettine sono assai più di tre, e i ruscelli, anzi le piccole fiumare di Calabria, sono due e non una soltanto. Comerconi, paese affacciato sulle pendici meridionali di quel Monte Poro, cui è dedicato il portale nel quale state navigando, probabilmente trova le sue origini più remote tra la Magna Grecia e Roma.

Fu nel 1832 che il conte Vito Capialbi, appassionato cultore di storia antica e archeologo, amico ed ospite del sommo Theodor Mommsen, a cui fece visitare Nicotera (vedi la pagina relativa di Poro.it a cura di Orsolina Campisi), scrisse in un numero delle Memorie del Deutsches Archäologisches Institut di Roma del rinvenimento a Comerconi di un antico sigillo in bronzo; mentre alla fine di quello stesso secolo, un contadino, Francesco Giofrè, arando un fondo nella località Chiesola, vide affiorare dal terreno alcune monete di bronzo, che giudicò molto antiche, attirando così l’interesse del dott. Diego Corso, che pur essendo un medico, per la sua speciale passione per le antichità, era stato nominato Real Ispettore degli scavi e monumenti di antichità per il territorio di Nicotera. L’annuncio del rinvenimento e del suo accidentale scopritore fu poi riportato nelle Notizie degli scavi della Reale Accademia dei Lincei, pubblicate nel 1882.

Tuttavia bisognò aspettare gli anni ’60 del secolo ormai trascorso affinché la via degli antichi mulini e la zona della Chiesola diventassero davvero oggetto dell’interesse degli archeologi. Fu a quell’epoca, infatti, che furono rinvenuti in quella zona i resti di una villa romana, con un pavimento in marmi policromi e una notevole quantità di mattoni crudi, alcuni dei quali con impronte di mani e piedi. Tale villa apparve subito caratterizzata da alcune peculiarità edilizie, che ne permisero la datazione dalla prima età imperiale fino all’epoca tardo-antica, mentre, più in generale, la maggior parte del materiale rinvenuto nella zona si è fatto risalire all’epoca tra il III sec. a.C. e il VI sec. d.C. E se nel 1972 nella rivista Studi meridionali si scrive del ritrovamento alla Chiesola pure di un piccolo frammento di vaso; nel 1978 un nuovo scavo portò alla luce un vano di un edificio con intonaci dipinti ad imitazione di lastre marmoree, mentre nei paraggi affiorarono monconi di muri in mattoni, presumibilmente relativi agli altri vani dello stabile, e un filare di conci. Furono rinvenuti pure vari frammenti di miniature in ceramica decorata, delle lucerne a disco, diversi laterizi con bolli, una matrice circolare a testa di Sileno. Dalla terra emerse una moneta con l’effige di Gneo Cornelio Lentulo, risalente probabilmente al I sec. a.C. (Cornelio Lentulo fu console nel 97 a.C.). E soprattutto si rinvennero i segni di una preesistente presenza greca – si ritiene dal V sec. a. C. fino all’età ellenistica – testimoniata dalla presenza di numerosi frammenti di vernice nera.

In suo scritto del 1988 Alfonso de Franciscis, occupandosi di una villa di Gioiosa Ionica, ipotizzò che la villa scoperta alla Chiesola di Comerconi costituisse in realtà uno dei modelli ricorrenti di villa romana in Calabria. Secondo il grande archeologo, infatti, la villa di Gioiosa, come questa comerconese, erano in realtà delle estese tenute agricole che progressivamente erano divenute dei veri e propri complessi industriali, con produzione sia agricola che silvicola. E mentre il prof. Achille Solano scrive della sparizione di un sigillo in bronzo rinvenuto a Comerconi recante la scritta “LARONI” – che potrebbe far pensare, alla presenza anche in questo territorio, come anche a Nicotera, nei pressi di S. Teodoro, ed in varie altre località della Calabria tirrenica, di una delle fabbriche di mattoni e laterizi di Quinto Laronio, comandante al servizio di Marco Vipsanio Agrippa nella guerra civile contro Pompeo; oggi gran parte dei reperti rinvenuti nella zona per fortuna sono conservati nel Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria e nel Museo Civico Archeologico di Nicotera, e possono così essere esaminati da visitatori e studiosi.

(La pianura di Comerconi e il mare visti dal centro Paese)

Platone nel Simposio parla di un dio Poro, divinità dell’espediente, che avrebbe fatto concepire a Penìa, la Povertà, Eros, il demone dell’Amore. Però l’origine della parola Poro viene fatta derivare dai più non da Platone, quanto dal verbo greco Poreuo, "camminare", "andare da un luogo a un altro", che sostantivato come "passaggio", potrebbe così riferirsi al tragitto dalla colonia locrese di Medma – che si ritiene sorgesse nel Pian delle Vigne, vicino Rosarno - a quella di Hipponion, l’attuale Vibo Valentia: itinerario dal “paesaggio superbo” dove “tutto conservava un carattere di grandezza selvaggia”, come lo descrisse molti secoli dopo Alexandre Dumas. Più oscura e incerta è invece l'etimologia di "Comerconi". Molte infatti sono le ipotesi ricostruttive e altrettante, diciamo così, le “scuole di pensiero”. In molti infatti propendono per "Villaggio d'Ercole" (dal greco kome, villaggio, e Erakléous, Ercole). E il mitico figlio di Zeus e Alcmena e delle fantastiche dodici fatiche è del resto una presenza costante per i paesi del Poro: basti pensare alla leggenda sulla fondazione di Tropea e all'omonima piazza, o anche alla spiaggia di Formicoli di S. Domenica di Ricadi, che pare derivi dalla contrazione di “Forum Erculis". Altri ritengono invece che Comerconi provenga dal nome della famiglia Comerci, così come Preitoni prenderebbe il nome dai Preiti. I Comerci, giunti nell’Italia meridionale a seguito del re Carlo d’Angiò – dunque nella seconda metà del XIII secolo - provenienti dalla Vandea, una regione della Francia, e precisamente da Commerci - paese oggi famoso perché patria delle madaleinettes, i biscotti resi celebri da Proust - e stabilitisi poi in Calabria, in questa regione si distinsero soprattutto a Tropea, dove furono membri del Sedile, cioè dell’organo del governo cittadino. Uno dei Comerci proprio da Tropea partì volontario contro i Turchi e perì nella battaglia di Lepanto. Ed in effetti, come in altri paesi della zona, anche a Comerconi vi è sempre stato un ceppo di questa antica famiglia, “una delle più distinte della Calabria Ulteriore”, come scrisse nell’800 ancora Vito Capialbi.

 (Giovanni Antonio Magini, Calabria Ulteriore, particolare, Bologna 1620. In questa cartina Comerconi è indicata come “Comerci”)

(Johann Janssonius, Calabria Ultra, Amsterdam, 1667, particolare: anche qui è riportata “Comerci”. Nei successivi G. A. Rizzi Zannoni, Atlante del Regno di Napoli, ed Eliseo Dalla Concezione, Carta Corografica della Calabria - prima cartografia della Calabria realizzata con metodo astronomico e per studi sismologici - entrambi pubblicati a Napoli nel 1783, è invece riportata “Comercone”)

Altri pensano invece che Comerconi derivi invece da “Comarca, (dal germanico antico, marka: confine) ovvero ambito territoriale finitimo, contrada di frontiera, nell’ordinamento carolingio governata da un margravio o marchese, locuzione poi diffusasi in tutta Europa e ancor oggi presente come toponimo  e declinata in varie lingue (per esempio in Italia l’attuale regione delle Marche, la Marque di Haute-Vienne in Francia e le varie Comarcas dei paesi di lingua spagnola in Europa e nelle Americhe). E così Comerconi potrebbe derivare il suo nome dall’essere situata ai confini di una qualche ripartizione geografico-politica del passato: magari quella dell’antica Monteleone (ancora Vibo Valentia, ma secondo il nome che volle darle, rifondandola, Federico II e rimasto immutato fino al 1927), o anche della stessa Tropea, come del resto avvenne durante la gloriosa ma breve e sfortunata stagione della Repubblica Napoletana del 1799. 

Un’ulteriore e forse più suggestiva ipotesi, invece, fa discendere la parola Comerconi ancora dal greco, ma da Kome erkion, ovvero “borgo delimitato”, come se nel passato le due fiumare già citate ne circoscrivessero perfettamente i confini; o forse, più esattamente, “paese cintato da mura”, “cittadella”. Sotto quest’ultimo profilo un’indiretta conferma si potrebbe trovare in quanto scrive Giacomo Monaco, secondo il quale la fondazione della Comerconi attuale risalirebbe al 950 d.C., a seguito del saccheggio e della distruzione di Nicotera da parte dei Saraceni. Secondo il Monaco, infatti, le popolazioni in fuga da Nicotera si fermarono sulle pendici del Monte Poro, fondando qui i nuovi abitati di Caroniti, Motta Filocastro e, appunto, Comerconi: verosimilmente a causa del carattere strategico dei luoghi, in posizione tale da dominare visivamente l’ambiente circostante, e tuttavia sufficientemente al riparo dalle possibili vie di invasione dell’epoca, il mare e la strada principale del tempo, l’antica via consolare romana Popilia.

(Blaeu Mortier, Calabre Ultra, Amsterdam, inizio del XVIII secolo, particolare. Qui si riporta Comerconi, ma Preitoni è chiamata Prefitoni, il che spiega l’aspirata conservata nella sua denominazione dialettale)

Del resto, Nicotera, rifondata e fortificata nel 1065 da Roberto il Guiscardo, nel 1074 fu di nuovo messa a ferro e fuoco dai saraceni di Tamin, sultano di Mehdia, vicino Tunisi, che imperversavano allora nel Mediterraneo (da Mehdia era partita anche la spedizione che più di un secolo prima aveva fatto il sacco di Genova) e ricostruita da Ruggero il Normanno, che vi eresse il Castello, sul cui perimetro è quello attuale riedificato nel XVIII secolo, nel 1085 fu attaccata e conquistata pure dai Turchi.  La rivincita delle città italiane almeno contro Tamin avvenne nel 1087, e viene annoverata dagli storici come una delle “pre-crociate”: la flotta, con a capo i navigli delle Repubbliche Marinare di Genova, Pisa e Amalfi, cui si accodarono navi e battelli da tutte le principali città dell’Italia Meridionale, fu descritta arrivare poi così imponente al sultano - nel frattempo indebolito pure dalle sconfitte inflittegli dai Normanni - che questi non tentò neppure di uscire in mare per contrastarla, e Mehdia fu così facilmente espugnata. E poiché lo scontro decisivo avvenne il 6 agosto, a Genova per ricordare la vittoria fu eretta una chiesa in onore di S. Sisto II. Che sia questa l’origine della devozione per quel santo anche nei paesi di questa costa e particolarmente a Joppolo

(Stradine e case della Comerconi più antica)

Mori e Saraceni, in realtà, avrebbero continuato per secoli nelle scorrerie sui mari e sui centri rivieraschi dell’Italia Meridionale, come testimoniano del resto non solo le tante torri d’avvistamento che ne punteggiano la costa, ma anche le varie leggende presenti nella storia orale o le tradizioni rinvenibili nel folklore locale.

Anche a Comerconi, per esempio, ogni festa patronale è ancora oggi rallegrata dalla presenza fragorosa ma esorcizzante dei Giganti – frombolieri mascherati accompagnati dal suono dei tamburi – che simulano, danzando il consueto ritmo ternario della taranta, un’infinita battaglia tra un cavaliere cristiano e uno saraceno per la conquista di un’altrettanto mastodontica dama.

Un altro retaggio dell’epoca dei contatti con la cultura araba è riscontrabile poi anche attraverso la ricorrente presenza nei racconti dei Comerconesi più anziani delle vicende di Giufà. Personaggio leggendario, presente soprattutto in Sicilia e nell’Africa settentrionale, Giufà riproduce il prototipo del ragazzo tonto e maldestro, che però riesce spesso a cavarsela fortunosamente, pure con una sua personale arguzia e un suo specialissimo spirito. Reso celebre anche dalla raccolta delle Fiabe Italiane di Italo Calvino, Giufà rappresenta in realtà una delle figure più piacevoli e divertenti di quella cultura comune che nei secoli passati ha unito le varie genti delle diverse sponde del Mediterraneo; ritrovandosi le sue storie, con i necessari adattamenti, sia in ambiente musulmano, sia in quello cristiano, sia anche nella cultura delle comunità ebraiche della Diaspora. E se a Nicotera c’è chi giura della reale presenza in quel paese di Giufà, magari solo qualche generazione addietro (“no, io non l’ho conosciuto, ma mio nonno lo conosceva bene, anzi era proprio amico suo…” ha sentito affermare chi scrive); pure a Comerconi di fronte a qualche sprovvedutezza altrui sono ricorrenti le esclamazioni: "Allura fa’ com’a Giufà ?" oppure “Ca mi pari Giufà !.

Una delle versioni comerconesi della leggenda vuole che Giufà fosse sì uno sciocco e uno scombinato, ma pure un ragazzo dalla figura imponente, quasi gigantesca: “Giufà era altissimo, ma turduni; anzi, tant’era ‘autu, tant’era turduni, ‘nu veru stortu!”. La mamma di Giufà era ovviamente disperata per questa balordaggine del figlio e passava le sue giornate implorando Domineddio che le facesse la grazia di farlo diventare una persona assennata. E ogni domenica,  recandosi alla messa, supplicava il ragazzo di accompagnarla, per unirsi a lei in quella sua speciale richiesta all’Altissimo. Ma Giufà non ne voleva sapere: “No mamma, non ci vegnu ‘a missa… non sacciu… m’incrisciu!”, rispondeva ogni volta con la sua voce querula. Tuttavia, tante furono le insistenze della povera donna, che una domenica Giufà si decise finalmente ad andare in chiesa. Si avviò però da solo e quasi di nascosto. E così entrando nella chiesa non si avvide che l’ingresso non era abbastanza alto per lui e vi sbatté contro con la testa, inopinatamente e rovinosamente…

Da ciò il detto comerconese: “A quando a quando avìa jutu ‘a missa, Giufà si ruppìu ‘a testa!”. Volendo intendere sia che una incombenza mille volte rimandata è comunque destinata a rimanere senza esito; sia, soprattutto, che quando un incapace si prova a fare qualcosa, il risultato non può che essere disastroso !

Ritornando così all’origine dell’attuale Comerconi, non appare improbabile che, proprio a causa di questa sua genesi storicamente difensiva, in un territorio dominato dall’angoscia per l’insidia delle scorrerie saracene, l’originario abitato del paese fosse - come ci suggerisce l’etimologia da ultimo citata (seppure meno trasparente di quella, ad esempio, di Motta Filocastro) - circondato e protetto da mura. Del resto, l'ultimo saccheggio di Nicotera avvenne ben oltre la stessa battaglia di Lepanto, ovvero nel 1625, durante il governo del viceré di Spagna Don Antonio Alvarez de Toledo; mentre la presenza piratesca sul mar Tirreno andò affievolendosi fino a scomparire del tutto solo a partire dal XVIII secolo, quando il primo ministro Bernardo Tanucci - lo stesso che aveva accompagnato il re Carlo di Borbone non ancora ventenne nel suo viaggio in Calabria nel 1735 - decise di far nascere una forte ed autonoma Armata di Mare Napoletana, proprio per proteggere le coste e la navigazione del rinascente regno di nuovo indipendente.

L’origine greca della parola Comerconi si spiegherebbe così più nel perdurare dell’influenza bizantina sulla zona del Poro nei secoli a cavallo dell’anno Mille (la stessa Nicotera fu fino al XII secolo diocesi di rito greco), che in un ulteriore retaggio toponomastico dell’antica cultura magno-greca nell’Italia meridionale. Influenza greco-bizantina e anche presenza monastica basiliana - indagate da Francesco Russo nella sua Storia della Chiesa in Calabria - la cui ultima eco si può ancora oggi rinvenire nella dedicazione della Chiesa parrocchiale di Comerconi a S. Nicola, santo tipicamente “basiliano” e orientale.

(Due cartoline di Comerconi realizzate alla fine degli anni ’50)

Comerconi, divenuta oggi una piccola frazione del comune di Nicotera, pur contando tra i suoi abitanti, come in altre epoche, non molte centinaia di anime, è tuttavia conosciuta nella sua zona prima di tutto come il Borgo del vino e dell’olio, e poi per tante altre cose.

Cominciamo, allora, dal Vino. Il vino di Comerconi, per dir così, "classico" è un tipico vino rosso di tradizione meridionale italiana. Il vitigno comerconese per eccellenza è il Gaglioppo, come accade anche per molte Doc calabresi: un antico vitigno della famiglia degli aglianici - il Falerno di cui già scrivevano Orazio, Virgilio e Marco Aurelio era un aglianico - il cui progenitore diretto, il Magliocco, fu portato in Calabria proprio dagli antichi coloni greci (ed infatti, "aglianico" non è che la volgarizzazione di "ellenico").

 (Il mosto ribolle dopo la vendemmia nei tini di una cantina di Comerconi)

E' raro, tuttavia, che il Gaglioppo sia vinificato, come si dice, in purezza. Anche a Comerconi, infatti, si cerca di smussare talune sue asperità accompagnandolo con altre uve, tra le quali – seguendo anche le denominazioni dialettali studiate da Raffaele Corso - la “Marbascìa” (Malvasia bianca), il “Griecu” (Greco nero o bianco), la “Adduraca” (Moscato D'Alessandria), la “Cuda ‘i vulpi” (Coda di volpe) e talora anche il Trebbiano toscano o la “Alivèja” (Inzolia). Il risultato finale è spesso molto buono: un vino corposo, di colore rubino intenso, con eccellenti tannini, di gradazione mai inferiore agli 11° e retrogusti ai frutti di bosco, alla viola e soprattutto al ribes. Da bersi preferibilmente con carni rosse grigliate alla brace, o meglio ancora, assaporando il mitico Pecorino del Poro, ovvero accompagnando uno spuntino a base di soppressata o con l'esplosiva 'Nduja di Spilinga. Si racconta che Giuseppe Berto, l’autore de “Il Male oscuro” (per approfondirne la figura vai alle pagine dedicate da Poro.it al grande scrittore), negli ultimi tempi della sua vita, fosse solito venire ogni anno a Comerconi per fare scorte di questo vino rosso dal tono potente e antico.

 

 (Vendemmie degli anni '30)

Ma l'avventura della vite a Comerconi non si è fermata qui. Al tipico vino rosso, infatti, si è affiancata di recente anche la produzione di Vini Bianchi assai gradevoli e talora da meditazione, cioè passiti: sempre con buona acidità, temperata da aromi intensi di frutta matura e freschi sentori floreali. Ciascuno dei quali assume, a seconda del produttore, il profumo inconfondibile dei due vitigni bianchi già ricordati qui maggiormente messi a coltura: il Moscato d'Alessandria - o come viene chiamato in Calabria e Sicilia anche col suo nome di derivazione araba, lo “Zibibbo” - oppure la Malvasia.

E a Comerconi ogni anno si organizza il 7 di agosto pure una spettacolare Festa del Vino e dell’Allegria, dove questo squisito prodotto della nostra terra è fatto assaggiare a turisti e gitanti, accompagnato dalle più deliziose e succulente pietanze preparate dalle massaie del paese in festa. E così una appetitosa teoria di fusilli, tagliolini, salcicce, soppressate, frittatine, polpette, crocchette, frittelle, peperoni, melanzane, fagioli, patate, ciambelle, crostate di frutta e al cioccolato, pere cotte zuccherine ed angurie, è collocata in bell’ordine sull’ultima salita che conduce alla piazza principale del paese. Mentre quest’ultima, occupata interamente da grandi tavoli intorno ai quali sono fatti accomodare gli ospiti, assume il ruolo di perfetto scenario dove far trionfare nei bicchieri di tutti, rosseggiante e superbo come sempre, il celebrato vino di Comerconi.  

Comerconi, però, come detto, è diventata famosa in questi ultimi tempi pure per la sua produzione di Olio.  Anche l'ulivo ha trovato infatti nel clima temperato della collina del Poro il suo habitat naturale. E se infatti fino a qualche generazione fa erano le querce a caratterizzare il versante comerconese della montagna – e se ne può ancora ammirare qualche esemplare monumentale nella Contrada Madonnella e nella strada interpoderale che da lì si arrampica verso il Santuario di Monte Poro - oggi però ad esse si accompagna spesso il verde argentato dell’ulivo con le “cultivar” storiche di questa parte della Calabria tirrenica: Ottobratico, Chianotu, Ciciareju e Tumbareju - che produce olive pure da tavola, che i Comerconesi amano scottare e speziare, o anche conservare in salamoia - e con alcune tra le specie più pregiate dell’Italia centrale, come il Frantoio o il Pendolino.

(Alberi di ulivo nella contrada Carcara)

Piante, soprattutto quelle delle varietà tipiche, che accolgono chi viene a Comerconi, già da qualche chilometro prima del paese, come un bosco incantato, da qualunque direzione egli provenga. E che producono un olio delicato, con bei retrogusti alla mandola dolce e di tenue acidità, che viene utilizzato dalle massaie del paese anche come base per un caleidoscopio di conserve: dalle melanzane ai funghi, dai peperoni ai carciofi, fino alle stesse olive schiacciate e ai prelibati pomodorini secchi.

(Un moderno frantoio per la molitura delle olive a Comerconi)

Ma Comerconi non è solo il suo vino o il suo olio. Oltre a svariate tipologie di Frutta, tra le quali eccellono fichi, bianchi e neri, prugne (soprattutto le “crisomole”, di nuovo dall’idioma di Omero, da xrusion e omoios, cioè “simili all'oro”) e pere (nella località Chiesola ne fruttificava una volta un tipo speciale, poco più grande di una nocciola e che si presentava a grappoli, dal gusto delicatissimo); subito dopo le prime piogge dell'autunno, quasi affiorano dal terreno, insieme a funghi prataioli, chiodini, porcini, pioppini ecc., anche i tartufi.

(Uno strepitoso porcino trovato tra le falde comerconesi del Poro con il suo scopritore)

Il Tartufo Comerconese non è, in verità, come quello bianco, preziosissimo, di Alba; appartiene invece alla famiglia dei tartufi neri, comunque di gran pregio e profumo, come quello di Norcia. Anche il tartufo nero, come è noto, ha una sua ben precisa dignità e tradizione storica. Si narra, ad esempio, che Gioacchino Rossini, raffinato gourmet oltre che geniale compositore, fosse solito cucinare o servire praticamente ogni suo piatto accompagnandolo col nobile tubero nero. E allora, se riuscite a procurarvi un tartufo - magari di Comerconi - provate a realizzare anche la più semplice tra le ricette inventate dall'autore de “Il Barbiere di Siviglia”: friggete due uova al burro e adagiatevi, sul finire della cottura, due o tre fettine di tartufo tagliate sottilissime, sale e pepe nero, magari macinato al momento, e avrete così le famose “Oeufs à la Rossini”. A Comerconi, invece, si usa spesso il tartufo come tocco finale per il ragù di carni miste chiamato a sposare  solari tagghiarini”, ruvidi fileja o laicissimi strangulapreviti; oppure ancora, a piccoli pezzi, per variegare sontuose frittate ovvero come ingrediente nel salmurigghiu, per condire gli arrosti. A proposito, non vi ho detto dove si possono trovare i tartufi a Comerconi. Non è un caso: questo deve rimanere un segreto…

Anche il cibo e la dieta comerconesi furono messi sotto osservazione tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60, nell’ambito del più ampio studio a Nicotera sulla Dieta Mediterranea. Anzi, proprio il fatto che Comerconi si situasse nella zona a maggiore altitudine del comune nicoterese, conferì alla stessa ricerca un carattere più ampio, e così leggere le risultanze di quello studio offre anche un interessante spaccato di storia sociale. Scrivono infatti i ricercatori che i Nicoteresi, in maggioranza contadini, per l’80% vivevano nei centri abitati, andando a lavorare ogni giorno nei loro piccoli campi, spesso lontani anche diversi chilometri, a piedi o a dorso di mulo, anche perché a causa del dislivello della zona in cui è compreso il comune, tra gli 0 e i 641 metri sul livello del mare – è qui evidente il riferimento alla popolazione comerconese – la situazione delle strade appariva precaria. E tuttavia la situazione sanitaria generale sembrava idilliaca: il numero di infarti del miocardio era infatti quasi insignificante, mentre più in generale non si riscontravano nella popolazione ipertensione, soprappeso e l’obesità con le relative patologie degenerative. Le risultanze apparivano, a quei tempi, non troppo dissimili da quelle riscontrate a Corfù in Grecia. Attività fisica e dieta mediterranea, ricca di verdure, legumi, fibre e cereali - per non parlare del vino rosso, ricco di sostanze antiossidanti – e però povera di carne e grassi animali, si presentavano così come presupposti per un buono stato di salute e per assicurarsi la longevità.

Beh, a leggere le risultanze di quel tempo, non possiamo non domandarci se in questi cinquant’anni di “civiltà del benessere” non abbiamo sbagliato qualcosa… Ma passiamo ad altro.

(la Fonte comerconese detta “del Ponte”, che offre una delle migliori acque del Poro)

La Chiesa Parrocchiale di Comerconi è dedicata al suo Santo Patrono, S. Nicola. Famoso anche nei paesi anglosassoni come Santa Klaus, cioè identificato con Babbo Natale, anche in Italia S. Nicola porta dietro di sé la fama di vecchio e munifico dispensatore di regali. In realtà tale fama è dovuta a Jacopo da Varagine, che nella sua Legenda Aurea, scritta nel XIII secolo, narra di S. Nicola che per salvare dal disonore cui le aveva destinate il padre tre sorelle, notte tempo e di nascosto, lasciava sulla loro finestra dell’oro avvolto in un panno.

Anche a Comerconi sono fiorite leggende e ritualità intorno al Santo protettore e anche qui talvolta giocano un ruolo fondamentale le finestre. Infatti in passato la settimana precedente la festa del Santo le donne del paese erano solite preparare una particolare minestra, mettendo del grano in una zuppiera con dell’acqua e cambiando quest’acqua ogni due giorni. Il giorno precedente la festa del Santo tale zuppa veniva bollita con una buona aggiunta di sale, per essere poi lasciata all’esterno di una finestra per l’intera notte tra il 5 e il 6 dicembre. A causa del freddo delle notti dicembrine, l’amido contenuto nei chicchi di grano, già liberatosi nell’acqua a causa della bollitura, trasformava quella zuppa in un unico pezzo gelatinoso giallastro, e questo per i Comerconesi era l’indizio inequivocabile del passaggio notturno per il paese del vecchio santo. Si diceva, forse in modo un po’ irriverente: “Santu Nicola pisciau ‘u granu” (la traduzione non mi pare necessaria). L’usanza voleva che quella zuppa così solidificata venisse poi mangiata da tutta la famiglia, a cominciare dai più piccoli, prima di andare alla messa per la festa del Protettore e ricevere la benedizione. E’ evidente che questa consuetudine, pur riportata dai Comerconesi ad un miracolo del Santo avente ad oggetto del grano, sembra in realtà assai più l’effetto di un’inculturazione cristiana di un antico rito invernale pagano, volto a propiziare la fertilità delle messi.

 (la Parrocchia di S. Nicola in un’immagine degli anni ’50 e, nella foto precedente, come si presenta oggi)

Ma ancora altre leggende sono legate alla figura di S. Nicola. Si narra ad esempio che una giovane donna di un paese non troppo lontano, pur essendo ormai maritata da qualche tempo e desiderando ardentemente un figlio, non riuscisse però ad averne, tormentandosi assai per questa sua infecondità. Ma in una fredda notte d’inverno le si presentò in sogno il busto di un santo dalla imponente barba, che le disse: “Sugnu Santu Nicola, non t’hai a disperari! Mò ti nasci ‘nu figghiolo, e tu l’hai a chiamari Nicola comu a mmia!”. Quando poco tempo dopo quella donna si ritrovò davvero in attesa, pensò fosse suo dovere ritrovare quel Santo raffigurato in un busto, proprio come le era apparso in sogno, per ringraziarlo della sua speciale benevolenza verso di lei. Non esistendo però dalle sue parti una grande devozione per S. Nicola, cominciò a girare per gli altri paesi per provare a rintracciarlo. E in ogni paese domandava: “Esiste qui una chiesa con un busto di S. Nicola?”. Ma la risposta era sempre inequivocabilmente negativa. Anzi, vi era chi semplicemente scuoteva il capo in segno di diniego, o chi invece pure ironicamente domandava dove mai la figura di un santo così importante per la Cristianità potesse essere celebrata solo con un busto. Finché una mattina, stanca e sfiduciata, ma ormai prossima al parto, quella ragazza si ritrovò a Comerconi. E qui però alla sua fatidica domanda si sentì subito rispondere: “Certamenti! Santu Nicola nostru è subba all’altari a menzu ‘mbustu!”. Corse immediatamente nella chiesa, e grande fu la sua emozione quando riconobbe proprio nel volto sereno del busto di S. Nicola che troneggia sull’altare comerconese, precisamente la stessa figura che le era apparsa in sogno. Decise perciò far celebrare subito una messa di ringraziamento al Santo nel tempio comerconese e quando poi le nacque il tanto desiderato bambino - che chiamò Nicola, secondo la promessa - lo battezzò proprio nella chiesa di Comerconi.

Ma non fu quella l’unica volta in cui S. Nicola si manifestò nel mondo dei sogni. E quest’altra volta la vicenda fu, in verità, un po’ più cruenta. Si narra ancora infatti che tanti anni fa un contadino di Comerconi si fosse indebitamente appropriato di tre piccoli ulivi, volendoli ripiantare in un suo terreno, ma sottraendoli a un fondo appartenente proprio alla Parrocchia di S. Nicola. Ma quella notte gli apparve in sogno il Santo, il quale lo apostrofò: “Tu mi scippasti 'i livareji ?! E pensi ca ‘sta storia finisci ccà?”. E giù botte da orbi col bastone pastorale. Tante furono quelle legnate che il malcapitato alla fine implorò: “No, basta, basta, Santu Nicola! Vi giuru ca dumani v’i richiantu ‘i livareji!”, sobbalzando e risvegliandosi proprio in quell’istante con un solenne febbrone. E però così fece: la mattina seguente andò di corsa a ripiantare quegli ulivi nel loro fondo originario di S. Nicola. E poi raccontò per anni, ansimando e gesticolando, quel che gli era capitato in quella notte terribile ma prodigiosa.

Un’altra storia ancora legata a S. Nicola è invece probabilmente da mettere in relazione ad uno dei catastrofici terremoti che devastarono nei secoli la Calabria. Sembra che in origine vi fosse una chiesa di S. Nicola assai più in basso di dove si trova ora l’abitato storico di Comerconi. Pare infatti si trovasse tra la località Ajoca e Preitoni, dove ora però non se ne scorge traccia; anche se in una cartina militare del 1870 abbiamo notato che quella zona all’epoca era denominata, appunto, S. Nicola. Ora, quando fu realizzata la chiesa di Comerconi, verosimilmente già sul sito attuale, la leggenda vuole che a S. Nicola non fosse molto piaciuta. E che notte tempo ritornasse nella vecchia chiesa, dove veniva poi sistematicamente ritrovata il mattino dopo la sua statua, magari proprio quella che conosciamo oggi “a mezzo busto”.

Questa leggenda non sembra però doversi collegare allo spaventoso terremoto che nel 1783 devastò la Calabria e distrusse la stessa chiesa di Comerconi. A quel tempo, il governo borbonico – siamo nell’epoca dell’assolutismo illuminato - colse quell’occasione per effettuare vaste riforme sociali e per ridisegnare l’urbanistica dell’intero Mezzogiorno con criteri più razionali e moderni. A tale scopo fu perciò creata la Cassa Sacra, una sorta di Cassa per il Mezzogiorno dell’epoca, chiamata così perché in essa confluivano i beni ecclesiastici espropriati dal governo centrale. E proprio con le risorse della Cassa Sacra doveva essere ricostruita anche la chiesa di Comerconi distrutta dal sisma: questa però doveva sorgere già sul suolo di quella antica danneggiata, e dal disegno conservato all’Archivio di Stato di Catanzaro appare con una navata centrale e due cappelle per ciascun lato. E’ in realtà non troppo dissimile da quella attuale, e l’architetto che la progettò nel 1788, Giuseppe Vinci, fu l’autore pure della chiesa di S. Nicola a Sorianello. Dunque quella che la leggenda vuole fosse l’antica chiesa dalle parti dell’Ajoca è così probabilmente da situarsi precedentemente allo stesso terremoto del 1783.

(Veduta di Nicotera presso la Chiesa de' Paolotti - Disegno di Ignazio Stile, incisione su rame di Antonio Zaballi. Da questa incisione, realizzata a Napoli 1788, è facile riscontrare quali fossero le condizioni di Nicotera dopo il terremoto del 1783: il castello infatti appare semidistrutto e l’intero paese, a partire dalla cattedrale e dal vescovado, assai danneggiato)

In ogni caso, nel 1798 Giuseppe M. Alfano scrisse la sua Istorica descrizione del Regno di Napoli, e riporta che gli abitanti di Comerconi a quel tempo erano solo 317. E quattro anni dopo, nel Dizionario geografico-ragionato del Regno Di Napoli, Lore“Comerconi” scrive: “Villaggio in Calabria Ulteriore, in diocesi di Nicotera, della quale città è propriamente casale, essendone lontano non più che miglia due. E’ situato in un mnzo Giustiniani, conferma tale consistenza demografica, e per la voce onte, ove respirasi aria sana, e trovasi abitato da circa 320 individui”.

Parlando della chiesa di Comerconi è da notare quella che è stata in passato un’altra sua caratteristica. Del resto, non è raro nella fenomenologia in cui si esprime il sacro trovare rappresentati quegli avvenimenti che si sono radicati nella memoria collettiva come i momenti di cesura nell’identità storica di una comunità. E così nella chiesa di Comerconi, oltre alle cappelle laterali dedicate alla Madonna o ai Santi – tra i quali il “paesano” S. Francesco di Paola – erette dalle famiglie del luogo come ex voto per il ritorno a casa di qualche familiare da una delle due guerre mondiali; sul soffitto erano dipinti tre affreschi, che rappresentavano, rispettivamente, lo Spirito santo in forma di colomba, giusto sopra l'altare, S. Antonio da Padova e, appunto, il vecchio S. Nicola.

Ora, proprio quest’ultimo dipinto, al centro dell'unica navata, rimandava ad un evento che, come quello del 1783, segnò un vero e proprio spartiacque nella storia di Comerconi e della Calabria, nel secolo ormai trascorso.

Era il 28 dicembre 1908: preceduto da un boato sordo, un rombo ininterrotto, a ondate, scosse la terra della parte meridionale dell'Italia: in poche decine di secondi, interi paesi furono cancellati, le vite di migliaia di persone spazzate via. Comerconi, in particolare, fu quasi rasa al suolo - come è riportato in una lettera del gennaio 1909 al Prefetto di Catanzaro - tanto che nei giorni seguenti i sopravvissuti non poterono che ripararsi “nell’aperta campagna, sotto misere e squallide capanne”.

La ricostruzione avvenne con stenti e a fatica, pure a causa della terribile epidemia di febbre spagnola che decimò ulteriormente la popolazione superstite, costretta in baracche, nei rigidi inverni successivi. E come Comerconi, anche la chiesa parrocchiale, che aveva seguito la stessa sorte del paese, dovette essere ricostruita: giorno dopo giorno, dalla soglia in pietra di granito, fino alle campane, il cui bronzo fu molato all’Ilva di Napoli, anche col contributo di un’altra generazione di Comerconesi che aveva  scelto di inseguire il proprio destino lontano dalla Calabria.

(La Chiesa di S. Nicola in una  cartolina degli anni ’60)

E quarant’anni dopo, conclusasi anche la seconda guerra mondiale, quasi come suggello definitivo alla rinascita, fu realizzata l’affrescatura del soffitto della chiesa. Con S. Nicola, che dominava l’intera parte centrale del tempio, benigno e benedicente, rappresentato tra uno sbuffo di nuvole: dipinto perfettamente a metà tra la vecchia chiesa distrutta e la nuova ricostruita, quasi a surrogare iconologicamente l’anello spezzato da cataclismi, epidemie e guerre nella catena naturale delle generazioni e per riaffermare nella morfologia allegorica del sacro la continuità tra passato e presente, e dunque il legame – radicato da millenni nella cultura dei popoli del Mediterraneo - tra mondo dei vivi e regno dei morti.

Ora, una ristrutturazione effettuata una ventina di anni fa ha dovuto abbattere e riedificare l’intero soffitto della chiesa di S. Nicola. E così pure questi affreschi sono diventati essi stessi, a loro volta, solo un luogo della memoria, di cui rimane solo qualche vecchia fotografia come questa che vi abbiamo mostrato.

E ancora in questi ultimi anni la chiesa di S. Nicola ha necessitato di nuovi interventi di manutenzione, volti a garantire persino la sua statica. E’ ancora in atto infatti una straordinaria ristrutturazione, per molti versi una vera e propria ricostruzione della chiesa, di cui si stanno facendo interamente carico, con varie iniziative, gli stessi Comerconesi. Molti dei quali, anzi, spesso hanno dato e continuano a dare gratuitamente una mano agli operai, affiancandoli direttamente nel lavoro manuale o fornendo loro i mezzi meccanici necessari; altri invece collaborando alla stesura del progetto di restauro, moltissimi, più semplicemente, devolvendo alla Parrocchia delle sostanziose offerte. E così la chiesa di S. Nicola è diventata in questi anni un grande e solidale cantiere collettivo, a cui partecipa in vario modo ed a diverso titolo l’intero paese.

(l’interno della Parrocchia di S. Nicola durante i lavori di ristrutturazione)

Questo nuovo rifacimento ha apportato anche rilevanti modifiche alla architettura del tempio. Sopra il portone di entrata adesso campeggia infatti un rosone in vetri policromi che rappresenta S. Nicola, così come in vetri policromi sono anche le vetrate poste sopra le navate, ricostruite a forma di arco gotico; mentre l’intero impianto della chiesa è stato arricchito da nuovi e morbidi stucchi, da un rilucente pavimento in marmi pregiati, da un suggestivo sistema di illuminazione e da un antico fonte battesimale, che caduto per decenni nel dimenticatoio, ora è stato restaurato e collocato alla sinistra dell’altare. Anche la balconata del coro, posta sopra l’entrata, oggi rinnovata, può finalmente degnamente ospitare la Schola Cantorum del paese, venuta alla luce, per iniziativa di alcuni appassionati, in questi ultimi tempi.

(Il rosone con l’immagine di S. Nicola)

Confidiamo che sotto la guida dell’attuale parroco, Don Saverio Callisti, e soprattutto grazie agli sforzi e all’impegno costante e spesso commovente degli stessi Comerconesi, la chiesa di S. Nicola sarà al più presto completata nei suoi rifacimenti, che fino ad ora appaiono notevoli e assai ben riusciti.

S. Antonio da Padova è poi l'altro patrono di Comerconi. E i Comerconesi organizzano ogni anno la sua festa - con la processione della sua statua per le vie del paese - a volte anche posticipandola dal 13 giugno a metà agosto, per consentirvi la partecipazione dei tanti emigrati che tornano ogni estate in Calabria per le vacanze. E qualcuno tornato a Comerconi dall’Argentina ha raccontato che pure a Buenos Aires  - sembra nel colorato quartiere del Boca - i tanti paesani là residenti organizzino a loro volta la medesima processione di S. Antonio, magari anche per ritrovarsi e sentirsi un po’ come a casa.

(La processione di S. Antonio del 17 agosto 2008)

Ma altre ancora sono le testimonianze della pietà dei Comerconesi. L’ingresso a Comerconi è infatti annunciato da una statua del Redentore, che benedice l’entrata nel paese, mentre nella piazza dedicata all’Immacolata c’è ora anche una grande scultura bronzea di S. Pio da Pietralcina, sotto la quale ogni anno, in occasione della festa del Santo taumaturgo, viene celebrata la S. Messa.

Tuttavia, anno dopo anno, un altro evento sta diventando, ormai una tradizione a Comerconi: si tratta del Presepe Vivente (per approfondimenti vai alla bella pagina curata da Maria Francesca Barone). Il 26 dicembre e il 6 gennaio di ogni anno, infatti, la parte vecchia del paese, ormai pressoché disabitata, si rianima: i Comerconesi, indossando per l’occasione fogge e costumi mutuati dall’arte e dalla tradizione presepiale, riportano alla luce i vecchi arnesi e riprendono gli ormai desueti mestieri dell'antica civiltà contadina. Così si possono rivedere ‘u manganu, con cui in passato si trituravano gli steli del lino per poi filarli; ‘u cardu, ovvero quel primitivo attrezzo composto da tavole e chiodi per districare la lana; vari fasci di juta, a cui contadini esperti lavorano nella costruzione di ceste, panieri e fiaschi; e infine degli splendidi antichi telai.

Tutto il paese partecipa alla sacra rappresentazione, in un trionfo anche di gastronomia e di ospitalità: e stavolta formaggi, ricotte, castagne, ciambelle, frittelle, “curuji”, torroni, e - poteva mancare? – vini rossi e bianchi, magari anche novelli e spumantini, per temperare il freddo intenso delle notti di Natale, sono offerti ai partecipanti e ai visitatori venuti dai paesi vicini e dalle diverse contrade della Calabria. E proprio in cima all'abitato, di fianco alla Fontana Vecchia e ai suoi lavatoi consunti da generazioni di fatica, viene posta la Mangiatoia, con l'ultimo nato dell'anno a rappresentare con i suoi genitori la Sacra Famiglia.

 (la Natività nel Presepe Vivente del 2008 – foto di M. Francesca Barone)

Però Comerconi, particolarmente per chi la visita la prima volta, si presenta soprattutto come lo spettacolo della Natura. In ogni stagione, ma specialmente in primavera, ogni anfratto, ogni albero, ogni pianta, anche la più umile - soprattutto le più umili - quasi si trasfigura in un'apoteosi di colore e di luce. E allora ginestre, roselline, zagare, campanule, margherite e camomille selvatiche invadono muri e terreni, e i rovi che delimitano i campi si coprono di fiori.

 

E quando poi d’estate, “tutto è arso di sete, e l’aria fumica per la calura”, come scriveva Alceo, “quando il sole a picco sgretola la terra… allora solo il cardo è in fiore”, compiacendosi pure di sé e del suo ostile ma caduco splendore.

 (Tetti e fiori nelle località “Torro”, “Ajoca” e “Jannì”)

Il cielo, poi, tempestoso e cupo nell’inverno,

ma abbagliante di luce durante le lunghe giornate estive,

(lo Stretto visto da Comerconi in inverno e in estate)

ai primi sprazzi dell’autunno non sempre capitola alle prime piogge,

ma esplode invece in infuocati e struggenti tramonti.

(Panorami dalla località "Graziusa")

E quando poi scende la sera su Comerconi e l’ombra del Poro si allunga sul paese, oltre la pianura, a partire da Oriente, insieme alle prime stelle, si accendono uno dopo l’altro i grappoli di luci tremule dei paesi della Piana e di quelli della costa, mentre il faro che lampeggia sullo Stretto anticipa di poco l’orizzonte, che nel mare si spalanca fino al profilo fumante dell’Etna e al bagliore remoto delle città di Sicilia. E lasciata poi Stromboli in disparte tra le Eolie, si richiude ad Occidente, tra i consueti petti della montagna, là dove si affaccia solitaria Caroniti.

E se d’inverno il silenzio terso della notte è rotto solo dalle urla del vento che scende dal Poro o dal crepitio ondeggiante della pioggia, mentre altre volte accompagna placido i fiocchi di neve che danzano nell'aria; d’estate, sotto la volta incandescente di stelle, tutto progressivamente sembra quietarsi, tranne gli interrogativi alla luna di qualche isolato randagio e il sottile sottofondo di grilli e cicale al canto intermittente della nottola, alzatasi in volo da quando il sole è tramontato.

Ma alla fine anche la notte si stempera e gravida di un nuovo giorno si annuncia l’aurora sul paesello dai tetti aguzzi; mentre uomini e campi ancora riposano, forse sognano, quasi in un unico respiro.

BIBLIOGRAFIA E RINGRAZIAMENTI - L’articolo di Vito Capialbi sulle scoperte archeologiche a Comerconi è in Memorie dell’Istituto di corrispondenza archeologica del Deutsches Archäologisches Institut vol. I, Roma 1832, p. 189. Del rinvenimento dei resti della villa romana nella località Chiesola è scritto in AAVV, Gli Eubei in Occidente – Atti del Convegno di studi sulla Magna Grecia, L’Arte Tipografica, Napoli 1962, p. 393; mentre del frammento di vaso si scrive in Studi meridionali, anno V, fasc. 1, 1972, p. 403. Una completa descrizione dei rinvenimenti alla Chiesola e nella zona di Nicotera è in Simona Accardo, Villae Romanae nell'Ager Bruttius: Il paesaggio rurale calabrese durante il dominio romano, L'Erma di Bretschneider, Roma, 2000, pp. 192-194; cfr. altresì Maurizio Paoletti – Salvatore Settis (a cura di), Medma e il suo territorio – Materiali per una carta archeologica, De Donato, Bari 1981, p. 138. Il saggio del De Franciscis col riferimento alla villa romana della Chiesola è: Alfonso De Franciscis, La villa romana del Naviglio di Gioiosa Ionica: relazione preliminare, Bibliopolis, Napoli 1988. Il sigillo con la scritta “LARONI” è riportato in Achille Solano, Bruttium paleocristiano, Vibo Valentia, 1976 p. 68, n. 115. Sulla presenza di bolli contrassegnati da tale scritta: Antonio Zumbo, Un bollo laterizio di Q. Laronius dalla Piana lametina, in Giovanna De Sensi Sestito (a cura di), Tra l’Amato e il Savuto – Studi sul Lamentino tardo antico, Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 1999, tomo II, p. 258, nota 36.

Il progetto del 1788 per la ricostruzione della chiesa di Comerconi è conservato presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, Cassa Sacra, Segreteria ecclesiastica, b. 64, fasc. 1130, ed è riprodotto in Rosa Maria Cagliostro, 1783-1796: La ricostruzione delle parrocchie nei disegni di Cassa, Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 2000, p. 49.

Il saggio sulla dieta mediterranea a Nicotera cui si fa riferimento è Flaminio Fidanza, Adalberta Alberti, Daniele Fruttini, The Nicotera Diet: the Reference Italian Mediterranean Diet, in AAVV, Nutrition and Fitness: Menthal Health, Aging, and the Implementation of a Healthy Diet and Physical Activity Lifestyle, nella World Review of Nutrition and Dietetics, vol. 95, 2005, p. 115.

Giacomo Monaco, La Mileto prenormanna, in Atti del 1’ Congresso storico calabrese, Tivoli 1957, Francesco Russo, Storia della Chiesa in Calabria dalle origini al Concilio di Trento, Rubbettino editore, Soveria Mannelli 1982 e la lettera sulla situazione di Comerconi al Prefetto di Catanzaro dopo il terremoto del 1908 (Archivio di Stato di Catanzaro – Fondo Prefettura, 25 gennaio 1909) sono citati in Saverio Di Bella – Giovanni Iuffrida, Le Terre bianche di Rombiolo, Pellegrini editore, Cosenza, 2000, a cui rimando altresì per una storia sociale dei paesi del Poro.

La legge del 21 Piovoso 1799 di fissazione del Dipartimento della Sagra, che inseriva “Comercone” nel Cantone di Tropea è citata in Gaetano Cingari, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799, D’Anna, Messina-Firenze 1957; Alexandre Dumas, Le Capitaine Aréna, trad. it. di A. Cortellaro, Viaggio in Calabria, è pubblicato da Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 1996. Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico-ragionato del Regno di Napoli è ora riprodotto in anastatica dall’editore Forni di Bologna (la voce “Comerconi” si trova nel vol. IV a pag. 101).

Il saggio sull’onomastica vitivinicola dialettale calabrese di Raffaele Corso – figlio del Diego Corso citato nel testo, e fondatore della scienza etnologica italiana - è: Id., Folklore agricolo, Almanacco Calabrese, 1960. Il presepe vivente di Comerconi è ricordato da Pietro Barbalace, Il sacro e il profano nel Vibonese, Editoriale Bios, Castrolibero, Cosenza 2004, pp. 176-178. Italo Calvino, Fiabe italiane è ora nei Meridiani Collezione, Mondatori, Milano 2006; Giuseppe Berto, Il Male oscuro, è pubblicato da Rizzoli, Milano 1998; Alceo, “Solo il cardo è in fiore” è tratto da Lirici greci tradotti da Salvatore Quasimodo, RCS Milano, 2004; Aldo Palazzeschi, Le Poesie, è un Oscar Mondadori, Milano 1971.

Si ringraziano infine l’arch. Ciccio Campisi, sua moglie Chiara, suo padre Antonio, e la sig.ra Pina Giofrè, per le notizie sulla storia e le leggende comerconesi; la dott.ssa Maria Francesca Barone per le antiche cartoline del paese.

 Carlo Pontorieri

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In ricordo di una breve visita a Comerconi, durante la mia vacanza estiva sul Monte Poro.

 IL BAR DI COMERCONI

 Sulle colline del Monte Poro,

guidato dai segnali stradali

e da quelli del cuore,

arrivo a Comerconi,

 paese incastonato nella natura

come un brillante solitario,

oasi di pace

e di genuino ristoro,

 dove nell'aria

si respira un sapore antico

di cose perdute

e qui per magia ritrovate,

 dove in un bar

si trova una tenda chiusa

che aspetta

chi con coraggio la apra,

 la scosto e da un balcone

uno spazio infinito mi assale,

la Calabria, la Sicilia e il mondo

dall'alto scopro e ammiro

restando senza fiato

 anche quando nello stesso momento,

scostando con coraggio la tenda

che chiude la mia anima,

scopro e ammiro dal profondo

il Miracolo della Creazione di Dio.

 08/08/2009       Luciano Iaria

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